Passa ai contenuti principali

Post

Visualizzazione dei post da marzo, 2020

Day 6: My mum thinks I am sick // Mia mamma teme che sia ammalata

(scroll for English) Giorno 6: mia mamma teme che io mi sia ammalata. Verso le 15 di oggi è entrata in salotto e mi ha vista stirare. Era successo solo nel 2004, quando mia nonna ha voluto verificare se ero davvero fisicamente impossibilitata come sostenevo. La nonna concluse che in effetti era meglio che restassi ad almeno un metro da tutti i ferri da stiro e io, manco glielo avessi promesso, ho seguito il suggerimento giorno dopo giorno. "Che cosa...che cosa stai facendo, Claudia?". Come in tutte le migliori famiglie, il nome pronunciato per intero è segno di guai. O sintomo di grande preoccupazione. "Stiro!" ho risposto alla mia santa mamma, che, pur abituata a tutto, non era pronto a questo. "Guglielmo..." fa mia mamma, che quando sta per crollare cerca sostegno in mio padre. Il quale sta cercando di elaborare il lutto per tutte le partite che non si disputeranno per motivi di contenimento, e le fa molto caso. "Io...sì, vedo che stiri - fa

Day 5: Just a Saturday, an Italian Saturday // Un sabato qualunque, un sabato italiano

(scroll for English) Giorno 5: il primo sabato sera di quarantena nazionale è il trionfo di hygge e altri concetti scandinavi entrati con successo nelle mode dei pantofolai. La pressione sociale è svanita, siamo liberi di stare in casa a guardare serie tv. Fa impressione, pensare che stasera nessuno esce con nessuno. Tanti saluti al sabato qualunque, sabato italiano: questi sabati ce li ricorderemo. Nel deserto assoluto della notte grossetana, sono andata a correre - munita dell'apposito modulo - in uno spiazzo sdegnato persino da quelli che cercano luoghi isolati per fare gli sporcaccioni in macchina. Rincaso di soppiatto, sobbalzo alla vista di una sirena, manco avessi fatto una rapina. A mezzanotte, con i miei, ci affacciamo in terrazza. Silenzio limpido e aria incontaminata. Non lo nascondo, ho avuto una buona giornata. La mattina ero impegnata a lavorare, ho comprato il pane che piace al babbo, poi ho scritto un pezzo per una rivista e alle 5 ho partecipato a una sed

Day 4: I lost my form // Ho perso l'autodichiarazione

(scroll for English) Giorno 4: sulla stampa internazionale si osserva come noi italiani sappiamo affrontare con spirito uno stato d'emergenza. Diramato sui social media, un flashmob ha portato tanti cittadini a cantare e suonare in terrazza, l'unico posto dove si può andare senza compilare un modulo. A Grosseto, all'orario fissato, non ho sentito niente, di niente, di niente. La mia via è deserta, giacchè di solito è piena di gente e macchine in doppia fila solo a causa della pasticceria accanto al mio portone, una delle più amate dai grossetani: a bar chiusi, manco chi porta i cani a fare pipì, passa di qui. Diciamo che non è proprio la patria della solidarietà, ma forse sono troppo critica. Stamani ho compilato un altro modulo e sono andata prima alla Posta e poi a comprare patate, mele e altra roba. Alla Posta mi sono recata per necessità e non certo per piacere, so che qualcuno ha questa perversione, ma io odio le code e la burocrazia mi annoia terribilmente.

Day 3: "Stay the f*** home" // State in casa -

(scroll for English) Giorno 3: "State in casa". Due volanti della Polizia circolano per Grosseto, ma invece delle sirene, a risuonare è il messaggio del Sindaco, che ci intima di restare in casa, di uscire solo per 3 motivi. Motivi di salute, una seconda categoria che non ora non mi ricordo e motivi di necessità. Di necessità: e qui cade l'asino. Le mie necessità sono uguali alle tue, lettore, tanto per fare un esempio? Non credo proprio. Intendiamo proprio le necessità di base? Quindi fare la spesa e poco più? Tipo, se ti si guasta il bagno e ti sta esplodendo la vescica puoi uscire a liberarti dai tuoi problemi? Le necessità sono bere acqua (quasi per tutti), nutrirsi, dormire e andare in bagno. Tolte quelle, non ci servono nemmeno i tabaccai. Se li hanno lasciati aperti, si suppone che qualcuno ci può andare, no? Come tutti i decreti, anche quello dell'11 marzo del governo italiano va interpretato e come tutte le interpretazioni, genera il caos. Il messaggio

DAY 2 - Un'Italia senza bar / / An Italy with no bars

Ho aspettato la nuova diretta del Primo Ministro per scrivere questo trafiletto. Le misure sono state inasprite e l'annuncio più evidente mi pare quello che mette in pausa l'icona del nostro Paese. Da domani chiuderanno i bar. Cosa mi manca, abitando all'estero, quasi quanto il mare? Il sacrosanto caffè in piedi, trincato in tempo record per assicurare la prosecuzione o l'inizio della giornata. Tanto importanti da essere ritenuti "servizio pubblico", i bar sono la quintessenza dell'essere italiani, non avendo un equivalente all'estero. Sono d'accordo, non mi fraintendete. In questi giorni in cui per caso mi trovo in Italia, sono andata al bar solo dopo l'operazione agli occhi, quando mi è stato offerto un caffè e già dovevamo rispettare i criteri di distanza, inclusi i tavolini alternati. Per me è difficile stare in casa, sono abituata a stare fuori anche per dedicarmi ad attività considerate sedentarie, come leggere e scrivere. Scrivo

DAY 1 - In Italia non si esce

Giorno 1: una forza magnetica mi porta a controllare la pagina di Giuseppe Conte mentre mi lavo i denti. É la sera di lunedì 9 marzo 2020 e il Primo Ministro annuncia che l'Italia è tutta zona rossa, anzi arancione, o meglio: che non ci sono più sfumature, niente più vecchi contro giovani, stiamo tutti in casa, tutti, ovunque. Mi trovo in Italia da diversi giorni, per un'operazione di routine, agli occhi. In teoria, ripeto: in teoria, dovrei rientrare a Budapest mercoledì 11 marzo. Da giorni mi interrogo su quanto sia corretto spostarsi, anche se in effetti io devo pur lavorare, per vivere. Dall'annuncio si passa al decreto, ed è già martedì. Verso l'una del mattino mi arriva l'sms della compagnia aerea ungherese: il mio volo è cancellato, posso chiedere il rimborso o prenotarne uno nuovo a scelta tra gli zero voli in calendario per le prossime settimane. Reagisco come mi ha insegnato una delle persone che ho più amato, pace all'anima sua: prendo un fazzol