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Lettera (ignorata) ai giornali.

Salve, sono I.A.S. ,

mio padre, giornalista egiziano e cittadino italiano, lavora in attesa di contratto da ben tre anni, per l'ufficio culturale dell'ambasciata egiziana in Roma (Via delle Terme di Traiano n°13).

Alle ore 21.00 circa del giorno 27/5/2010, abbiamo ricevuto una sua telefonata in cui diceva di sentirsi male e di non poter uscire dal suo alloggio (facente parte dell'ufficio, di fronte all'edificio principale) perché lo avevano chiuso dentro. Infatti, essendoci in corso una vertenza sindacale ai danni dell'ufficio stesso (per mancate retribuzioni e maltrattamento), dietro ordine dell'addetto culturale sono stati sostituiti i lucchetti che chiudevano l'alloggio in cui risiede mio padre, impedendogli così di uscire. In più, è stata tolta l'elettricità, costringendolo a stare al buio. Mio padre ci ha chiamate, a me e mia madre, qui a Firenze per dirci che stava male e che non poteva uscire né comunicare con l'esterno, essendo una zona dove non si soffermano persone se non di giorno.

Abbiamo così cercato il numero del pronto soccorso di Roma dicendo loro di intervenire immediatamente.
Gli stessi operatori del pronto soccorso di Roma, arrivati lì, hanno chiamato la polizia per poter accedere in qualche modo all'alloggio, essendo questo sbarrato e su territorio egiziano.

Mio padre è stato poi visitato e portato all'ospedale di San Giovanni in Roma per ulteriori controlli sul suo stato di salute.

Riteniamo ignobili incivili e di grande cattiveria tali azioni, tanto da non poter restare ignorate dall'opinione pubblica e dalla comunità romana, nonché italiana ed egiziana.

Si può parlare di sequestro di persona?

Sicuramente di mobbing.

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