Il punto. I libri che mi sono piaciuti di più quest’anno (e tra parentesi il posto dove li ho letti)
Per la categoria libri che mi hanno fatto ridere, tra i
super consigliati “Le particelle elementari” di Michel Houellebecq (treno, in
Italia), anche se non è un libro per tutti, così come “Nuovo sesso cow girl” (a
Budapest) del sempre geniale Tom Robbins. Spostiamoci su qualcosa di più
romantico e meno irriverente con “Kafka sulla spiaggia” (a Milano) di
Murakami Haruki, gentile prestito della mia dolce compagna di blog Iasmin. Il
libro che mi ha fatto viaggiare? Senza dubbio “Viaggio premio” (letto un po’ a
Budapest, un po’ sul mare, in Toscana), mio primo incontro con il grande Julio
Cortázar e appetitoso incrocio di personaggi che, credetemi, sono dei veri
gioielli della letteratura. Voglia di un viaggio metafisico?
Il miglior successo di Cortazár, “Il gioco del mondo” (Milano), mi ha donato (al prezzo di otto dracme europee) cinque giorni di meravigliosa confusione mentale. Incantevole "L'ora di pietra" (Milano) di Margherita Oggero, una storia italiana, di sud e di nord, di reclusione, libri, ingiustizia e sogni. La tredicenne Immacolata cresce in un paesino del napoletano ed è involontariamente coinvolta in un episodio di sangue che costringe la famiglia a inviarla a nord, in una città che resta senza nome. Ad ospitarla, o meglio a nasconderla, è una zia zittella che le proibirà di uscire, ammorbidendosi man mano che conosce la laboriosa nipote, bravissima tra i fornelli e coraggiosa nel farsi una passeggiata segreta il mercoledì mattina, conoscendo così un bel ragazzo dagli occhi verdi che vende libri di seconda mano. Il finale è realistico, eppure coglie di sorpresa. Il libro più femminile e divertente nonostante il tema “in rosa”? “Il dolce frutto” (Milano) di Elaine Dundy, storia di un’americana che negli anni ’50 si gode due anni sabbatici a Parigi dopo la scuola. Il paragone con “Il giovane Holden” è a mio avviso azzardato, ma la protagonista è effettivamente ironica e combinaguai (ma la critica dovrebbe piantarla di scomodare un libro bello come il capolavoro di Salinger ogni volta che un autore scrive di un giovane con problemi scolastici e la tendenza a mescolare relazioni e lusso). A proposito di J.D, mi è piaciuto molto “Franny e Zoey” (Milano), per quanto sia davvero troppo breve. Zoey è un personaggio adorabile, risponde con un sarcasmo e un cinismo ammirevoli. Se avesse scritto abbastanza, leggerei Salinger tutti i giorni, non mi stancherei mai di lui. Sempre tra i libri brevi, merita “Comici spaventati guerrieri” (Milano) del sempre bravo Benni. I suoi libri hanno il pregio di non piacerti per la trama, ma per quanto poco capisci il senso della stessa! L’effetto indesiderato è la frustrazione di fronte alle doti narrative superiori di quest’autore, capaci di farti gettare tutte le penne che hai e anche il pc sul fondo di un fiume. Tornando ai femminili, non mi sono fatta mancare un pilastro tra i classici inglesi: ho scelto “Jane Eire” (Milano) di Charlotte Bronte e l’ho divorato in quattro giorni, nonostante l’avessi sempre scartato temendone l’effetto “mattone”. Chissà, potrei scoprire che Jane Housten non è troppo mielosa e da donne per i miei gusti! Magari nel 2012 la provo (lo dico almeno dal 2005).
Il miglior successo di Cortazár, “Il gioco del mondo” (Milano), mi ha donato (al prezzo di otto dracme europee) cinque giorni di meravigliosa confusione mentale. Incantevole "L'ora di pietra" (Milano) di Margherita Oggero, una storia italiana, di sud e di nord, di reclusione, libri, ingiustizia e sogni. La tredicenne Immacolata cresce in un paesino del napoletano ed è involontariamente coinvolta in un episodio di sangue che costringe la famiglia a inviarla a nord, in una città che resta senza nome. Ad ospitarla, o meglio a nasconderla, è una zia zittella che le proibirà di uscire, ammorbidendosi man mano che conosce la laboriosa nipote, bravissima tra i fornelli e coraggiosa nel farsi una passeggiata segreta il mercoledì mattina, conoscendo così un bel ragazzo dagli occhi verdi che vende libri di seconda mano. Il finale è realistico, eppure coglie di sorpresa. Il libro più femminile e divertente nonostante il tema “in rosa”? “Il dolce frutto” (Milano) di Elaine Dundy, storia di un’americana che negli anni ’50 si gode due anni sabbatici a Parigi dopo la scuola. Il paragone con “Il giovane Holden” è a mio avviso azzardato, ma la protagonista è effettivamente ironica e combinaguai (ma la critica dovrebbe piantarla di scomodare un libro bello come il capolavoro di Salinger ogni volta che un autore scrive di un giovane con problemi scolastici e la tendenza a mescolare relazioni e lusso). A proposito di J.D, mi è piaciuto molto “Franny e Zoey” (Milano), per quanto sia davvero troppo breve. Zoey è un personaggio adorabile, risponde con un sarcasmo e un cinismo ammirevoli. Se avesse scritto abbastanza, leggerei Salinger tutti i giorni, non mi stancherei mai di lui. Sempre tra i libri brevi, merita “Comici spaventati guerrieri” (Milano) del sempre bravo Benni. I suoi libri hanno il pregio di non piacerti per la trama, ma per quanto poco capisci il senso della stessa! L’effetto indesiderato è la frustrazione di fronte alle doti narrative superiori di quest’autore, capaci di farti gettare tutte le penne che hai e anche il pc sul fondo di un fiume. Tornando ai femminili, non mi sono fatta mancare un pilastro tra i classici inglesi: ho scelto “Jane Eire” (Milano) di Charlotte Bronte e l’ho divorato in quattro giorni, nonostante l’avessi sempre scartato temendone l’effetto “mattone”. Chissà, potrei scoprire che Jane Housten non è troppo mielosa e da donne per i miei gusti! Magari nel 2012 la provo (lo dico almeno dal 2005).
Menzione speciale a “Pulce non c’è” (Budapest) della
bravissima Gaia Rayneri: una coetanea al suo esordio letterario che ho avuto la
fortuna di intervistare durante il festival dei libri, indovinate un po’ dove…a
Budapest (vedi qui)! Una storia vera, quella di una grave ingiustizia subita dalla sua
famiglia, raccontata in modo divertente e mai pesante. Il libro della mia estate invece è stato “La
banda dei brocchi” (Grosseto) di Jonathan Coe, regalo della mia amica
Jules-Jaul che mi ha fatto entrare in una di quelle mie irrazionali “botte da
autore”. Risultato: quattro libri dello stesso Coe divorati senza ritegno tra
mezzi di trasporto vari, Budapest, Rimini, Milano e Grosseto. Dopo non potevo
più leggere nemmeno una riga scritta da quell’uomo. Faccio lo stesso con i
biscotti, a volte.
A metà tra tragedia e comicità, ma la storia è triste, “Buon
compleanno Malcolm” (Milano) di David Whitehouse, storia di un ragazzo che si mette a letto e non
si alza più, diventando di 600 chili nel giro di vent’anni, narrata
brillantemente dal punto di vista del fratello. Un bel romanzo della casa
editrice Isbn, quella del codice a barre. Per quanto riguarda i libri di stampo
giornalistico ho letto volentieri sia “Brutte notizie” (Budapest), dell’ex
giornalista del Tg1 Maria Luisa Busi, sia “Il vittorioso” (Budapest), il libro
su Feltri di Stefano Lorenzetto.
Le ultime settimane dell'anno le dedicherò come sempre a letture dickensiane, per predispormi al Natale, salvo incontrare pericolose tentazioni durante i miei giri sonnambulistici (nel senso che non rispondo più di me varcata la soglia) in libreria.
E il 2012 dove ci porterà? (il pluralia tantum è perchè magari leggi anche tu, lettore di questo post...ah, sei un gatto?! Beh, leggerai dei libri anche tu, oltre ai blog salmonati, no?!). Miao!
Le ultime settimane dell'anno le dedicherò come sempre a letture dickensiane, per predispormi al Natale, salvo incontrare pericolose tentazioni durante i miei giri sonnambulistici (nel senso che non rispondo più di me varcata la soglia) in libreria.
E il 2012 dove ci porterà? (il pluralia tantum è perchè magari leggi anche tu, lettore di questo post...ah, sei un gatto?! Beh, leggerai dei libri anche tu, oltre ai blog salmonati, no?!). Miao!
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