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TartaBruscoli di vera vita inventata (1)

IN BIBLIOTECA Mi piacciono molto le biblioteche, ma alla Biblioteca Emanuele Pentito (nome di fantasia) non vado volentieri. Purtroppo è l'unica abbastanza vicina al mio posto di lavoro a disporre di libri in italiano e ad ordinarne spesso di nuovi. O di vecchi, ma diversi da quelli che avevano prima di ordinarne altri.

Se vi interessa saperlo io non ho un lavoro (anzi "una lavoro", come dice la mia amica immaginaria più recente), ma scelgo dei luoghi di lavoro credibili e la mattina mi vesto come una che lavora, mi reco fino alla porta del posto scelto e leggo per alcune ore. Vado a fumare con i dipendenti di quel palazzo, saluto, converso, vado alla posta e, ogni tanto, in biblioteca.

In quella biblioteca che vi ho detto entro almeno due volte a settimana, ma con sommo fastidio. Le dipendenti sono gentili, anche per questo le detesto come solo si possono detestare le persone servizievoli (mi andava di mettere le parole proprio in questo ordine, se non vi piace quella è la porta, aperta come sempre)
"Avete un libro di LM?"
"Quale libro?"
"Un libro, uno qualsiasi. Li ho letti tutti i libri di LM, ma ne vorrei rileggere uno."
"Quale?"
"Vede quella bella scultura di granito là dietro?"
Si volta.
"Sì."
"Lasciamo perdere. Mi guarda che libri avete di ML?"
Temo che se le avessi detto di andarsi a fracassare la testa sulla statua di granito lo avrebbe fatto davvero e non che mi interessi di quello che fa questa zitella vestita da zitella con il suo cranio, ma so che mi irriterebbe ancora di più una simile ubbedienza.
"Non ne abbiamo." risponde al volo, senza guardare nell'archivio elettronico.
"Allora perché vuole sapere quale libro voglio?"
"Potrei chiedere alle mie colleghe se una di loro ce l'ha."
"Leggono l'italiano?"
"No. Cioè Adalgisa sì, capisce bene i menù."
"Davvero? Mi piacerebbe conoscerla, mi piacciono le persone di cultura."
"Gliela presento subito, non si preoccupi!"
"Preoccuparsi di non conoscere Adalgisa, sì, stavo proprio per farlo. Guardi non importa. Senta io me ne vado, mi promette che la prossima volta facciamo una partita a carte, io e lei?"
"Con me?"
"No, con Adalgisa." "Ah, certo, senz'altro. Non abbiamo le carte ma ce le procureremo oggi stesso!" "Signorina?"
"Sì?"
"Vede quella statua di granito?"
"Sì!"
"...arrivederci."
***
GHINOCCHI SBUCCIATI  Chiunque corra con una certa frequenza x (3≤x≤14 volte alla settimana) sa che il male si annida nei settantenni maratoneti incalliti in canottiera, schegge sdentate dalla competitività incontentenibile. Ovviamente, avendo una certa età, se gli passi vicino in canottiera, puoi anche essere nel tuo momento di minore avvenenza, coi capelli appiccicati su tutto il viso eccetera, ma hanno la premura di controllare che il tuo seno ti abbia seguito durante il giro. Ce n'è uno, dove corro la sera, che mi sta particolarmente sui c...coglioni (volevo scrivere calzettoni, ma perché in fondo, sta lì!) . E da anni. Sì, è invecchiato, ma è lo stesso vecchio malefico in cui m'imbattevo ancora giovane, cinque anni fa circa, quando per mia fortuna non sapevo ancora le mie diciotto parole di ungherese e non potevo parlarci, visto che per una strana malattia mi sentivo costretta a fingere di non sapere l'inglese. Adesso se lo becco mentre faccio gli addominali, cosa che succede solo nei giorni più fortunati, mi racconta delle sue glorie sportive e altre cose di cui mi importa meno dei miei fatti personali, di cui non me ne frega veramente niente. Oggi. Di solito lo incrocio mentre corro. Ad ignorarlo va tutto bene, ma purtroppo mentre corro da sola divento orgogliosissima e se uno mi supera devo provare con tutte le mie forze di riprenderlo (se mi supera una donna la abbatto direttamente). Stasera sentivo il suo fiato dietro di me: lo riconosco, è insopportabile anche come respira. Accellero come quei guidatori che pestano sull'acceleratore (con una elle sola, brava) appena vedono un auto in procinto di passarli. Più veloce, più veloce, più veloce: passano mille metri e mi spiaccico in un vuoto nella pista, una buca per dirlo con parole normali. Sento due braccia che mi sollevano e mi divincolo come un gatto che stanno portando dal veterinario, pensando che fosse il vecchio. Invece era un giovane, il tipo di giovane giovane, dell'età mia insomma, che fastidio non me lo da. Si assicura che non mi sia distrutta troppo, ostento ottime condizioni, il riparte. Io ci provo ma dole, allora cammino un pochino. E mentre grondo sangue sulla pista, il vecchiacchio passa e sogghigna agitando la mano. Maledetto. Sono comunque felice, perché non ho mai vissuto un'estate senza ginocchi (sì, ginocchi) sbucciati e finalmente sono pronta. 

***
SMS Se proprio doveva mandare un messaggio di spiegazioni dopo cinque anni, e no, non doveva, almeno avrebbe potuto accertarsi che lei non avesse dato quel numero telefonico al padre. Padre che per altro non lo aveva mai trovato esattamente simpatico. Anche evitare di firmarsi avrebbe avuto senso, ma ancor di più trattenersi dall'usare un nomignolo per cercare di intenerirla. La vita, si sa, è fatta di equivoci. Alcuni portano a qualcosa, altri chiudono porte che erano rimaste senza catena.

(al solito, scrivo cose che possono non stare né in cielo né in terra ma possono anche essere successe venti minuti fa, non lo so, non deve interessare a nessuno e così è; intanto, a Budapest, vecchie canzoni incontrano nuove pagine, si sfoglia, si fuma, codardo chi cede)
***
CORRERE TROPPO Le maratone non sono mai nel momento in cui le stai correndo.

[tentazione di metterci il nome di un tizio famoso, di fare la citazione insomma, ché a ben guardare Oscar Wilde ha partorito frasi di rara bellezza, ma anche tante cazzate che se le scrivessi tu, sì dico a te, non le citerebbe nessuno (±70000 cretini che citano a caso)]
NB: per una volta non ho citato Forrest Gump, il mio film preferito. (Ovviamente non ne ho visti altri, a parte "Pomi d'ottone e manici di scopa", che non ho mai capito).
***
INVESTIRE (LE PERSONE) Al tredicesimo che tiravo giù decisi di farne una professione: niente omicidi, solo piccole vendette personali. In tempo di crisi non era più il caso di distruggere servizi interi di piatti tirandoli in testa al marito traditore, molto meglio farlo investire, anche se bisognava pagare la parcella al guidatore. Ho sempre avuto un'ottima mira, per cui vado addosso a tutti quelli che camminano nella direzione opposta alla mia - non sapete i lividi - e, ditemi se non è talento, al mare sbatto la testa contro ogni singolo bagnante nel raggio di un chilometro, nonostante nuoti solo ad occhi chiusi. Con una capacità simile avrei dovuto astenermi da prendere la patente. D'altronde l'istruttore della scuola guida non fece parola all'ispettore dei quattro pedoni stesi durante le poche lezioni che avevo preso. Guidare guido bene, ma è come se fossi in un videogioco: ci sono degli oggetti e vanno presi, passandoci sopra. Evito gli animali, però, perché tutti hanno le loro contraddizioni e io gli animali non li posso proprio prendere. Lo confesso, c'è una ragione per questa mia accortezza ed è Appendicite, il riccio che mi teneva compagnia quando ero piccola, l'unico essere cui mi sia mai sentita affine, capace di capire e sostenere, ma allo stesso tempo schivo al punto giusto. Lo trovai appena rincasata dall'operazione, da qui il nome. Anche il mio unico gatto l'ho avuto dopo un problema fisico, ma preferisco ometterne il nome e infatti lo chiamavo con un diminutivo quando avevamo ospiti, mia madre non gradiva sentire certe parole in casa. Tornando al piccolo Appendicite, quell'imbecille lo mise sotto con la macchina mentre rientrava da una seduta spiritica. Un momento, non mi fraintedete, mia sorella non era una svitata, solo un'imbecille e infatti le sedute spiritiche del mercoledì sera le faceva per motivi di studio. Seguiva un corso di laurea in scienze occulte per corrispondenza, scrivendo all'insegnante che stava in Islanda. O in Irpinia, le confondevo, all'epoca. Insomma da allora quando vedo un essere semovente di piccola taglia sulla carreggiata penso sia Appendicite e non mi sposto, non lo prendo come farei con un uomo, con una donna o, si capisce, con un ciclista, che di solito è sempre anche questi un uomo o una donna. Gli affari sono andati bene per diverso tempo. Disoccupati furiosi con l'ex datore di lavoro che li aveva licenziati per ripicca, perché magari avevano fatto tanto di dare una tastatina un po' prolungata in certe aree protette alla moglie dello stesso, negozianti esasperati dal cliente rompiballe di cui non sanno come liberarsi, tipici generi insofferenti verso le acidità della suocera rimasta "signorina" tutta la vita, studenti assetati del sangue della prof di latino: di clienti non ne sono mai mancati. Ho dovuto smettere quando il signor Filangere mi chiese di mettere sotto Bin Laden, mi dispiacque troppo per quel signore barbuto che non aveva colpe, esattamente come non le aveva il mio riccio. Da allora colpisco solo gli oggetti. Vetture, ne ho cambiate ventinove.
***


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