Spettabile Dottor Trauma,
le scrivo dopo tanti anni che seguo la sua rubrica "Sogno o son lesso?" per chiederle un consiglio sul mio futuro: vorrei che mi facesse capire cosa voglio fare della mia vita, ecco.
Questo era il mio sogno da quando andavo alle superiori, ma poi, ieri, ci ho ripensato: voglio fare la donna delle pulizie.
Mi rendo conto di essere solo adesso consapevole abbastanza da sapere davvero cosa voglio fare da grande, che, non sembra ma è una cosa grande e ce la chiedono solo quando siamo piccoli. A calcolarla in base agli standard di Maastricht, infatti, l'età migliore per porre questa domanda è compresa tra i 3 e mezzo e i 5 anni. Porla prima falsa le statistiche (che la “Porla Falsa” sia una pianta velenosa?): l’ottanta per cento del campione risponde “Nghé”, andando così ad influenzare i piani industriali delle aziende di fazzoletti, giacché se il nuovo sogno europeo è passare la vita a frignare, bisogna cavalcare l’onda lacrimogena, o meglio ancora, asciugarla.
Gli anni successivi escono le riedizioni aggiornate della risposta originaria: è così che le future maestre diventano possibili parrucchiere che poi si trasformano in aspiranti tossicodipendenti - periodo di letture come “Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino” e “Trainspotting" - , poi se ne dimenticano e pensano che sarebbe bello viaggiare, ma quella storia sulle camioniste sexy non convince poi molto (ma quale?!) e quindi, tirate le somme o entri a medicina o provi giurisprudenza. Tutto il resto è per chi rinuncia a priori. A me, dicevo, stuzzicava l’idea di fare la scienziata.
Così ho preso “Scienza e ingegneria dei materiali”, rinunciando per sempre a ogni tipo di rapporto umano che vado oltre la risposta ad un ipotetico “Ciao, cosa fai nella vita”.
“Scienza e ingegneria dei materiali”: solo a dirlo muoiono almeno un milione di cellule di allegria. Ho trascorso gli ultimi tre anni tra corsi e studio in biblioteca, spassandomela di tanto in tanto in compagnia di Trespia, che ha ventisei anni e considera una serata nella caffetteria del Mc Donald’s trasgressione pura. Mai capito come mai, se gli amici si possono scegliere, ci tiriamo dietro simili ruderi, di tanto in tanto. (Ruderi, che sinonimo elegante per una parola volgare come “rompicoglioni”!). Tra un tè alla menta e l’altro ho capito di stare sprecando i miei anni migliori e che la situazione non potrà che peggiorare, anche dopo la laurea e l’inizio di un eventuale lavoro. La vita di laboratorio deve essere eccitante al pari di quella dei tecnici di informatica, ma con ancora meno speranza di scambiare i propri fluidi corporei con un essere della nostra stessa specie. Per quale motivo, caro Dr. Trauma, avrei dovuto infliggermi un simile supplizio? Così ho cominciato a chiedermi cosa vorrei fare davvero. E sai che cosa ho capito, dopo un intero anno di riflessioni, caro Dr. Trauma? Di voler fare la donna delle pulizie. Un lavoro chiaro, concreto, retribuito in modo onesto: il presupposto per una vita coerente, attiva e priva di sensi di colpa. Anzi, alla gente gli fai pure pena, che non guasta, in un certo senso.
Ho osservato attentamente bidelle e addette alle pulizie in azione in contesti diversi, dall’università alla scuola di mia sorella, ma anche negli uffici dove pago le tasse universitarie e insomma nei vari luoghi che frequenta una persona segregata viva in un edificio pieno di gente noiosa che studia materie noiose: la mensa e la biblioteca. Pulire i cessi sembra un’operazione affascinante. Sono abbastanza convinta che non esista modo di conoscere più a fondo la natura dell’essere umano e non voglio lasciarmi scappare un tale patrimonio di conoscenza. Chissà, magari dai primi anni di professione potrebbero sorgermi nuove passioni, curiosità tutte mie da sviluppare tornando sui libri nel tempo libero. Certo sarò stanca, dopo aver pulito ‘sti cavolo di pavimenti per otto ore. Saranno otto ore tutte di fila? E se mi viene il rigetto per l’odore dei servizi igienici lasciati in cattive condizioni? Se lavorassi in un edificio di lusso il rischio sarebbe senz’altro più basso, ma so per certo che anche i ricchi…fanno certe cose. Eh sì. L’opzione peggiore sembrano i bagni dei giardini pubblici. Potrei trasferirmi in una città senza giardini pubblici. Un po’ complicato, ma è un’idea. Anzi, basterebbe controllare che, in caso di parchi, non siano muniti di servizi, questo è già più facile. Le stazioni pure mi spaventano assai: e se mi prendessi delle malattie, dottor Trauma, eh, ci ha pensato a cosa farei dopo? Con uno stipendio da fame come me le procurerei le medicine? Finirei a recuperare il sogno adolescenziale del periodo Trainspotting e comincerei a drogarmi. Anche se, in effetti, se non avessi i soldi per le medicine dove li troverei quelli per la droga? Potrei andare all’ospedale a chiedere la morfina, ammesso che uno possa entrare e dire che vuole della morfina, riceverla e salutare con un cenno di ringraziamento, tutto gratis. Ai drogati la danno, no? Mi pare di sì, controllerò. In definitiva, prima che mi faccia perdere il filo, Dottor Trauma, lei ha proprio delle idee del cavolo. Me lo spiega chi me lo fa fare di andare a fare le pulizie quando posso finire l’università e lamentarmi tutta la vita della crisi?
Così ho preso “Scienza e ingegneria dei materiali”, rinunciando per sempre a ogni tipo di rapporto umano che vado oltre la risposta ad un ipotetico “Ciao, cosa fai nella vita”.
“Scienza e ingegneria dei materiali”: solo a dirlo muoiono almeno un milione di cellule di allegria. Ho trascorso gli ultimi tre anni tra corsi e studio in biblioteca, spassandomela di tanto in tanto in compagnia di Trespia, che ha ventisei anni e considera una serata nella caffetteria del Mc Donald’s trasgressione pura. Mai capito come mai, se gli amici si possono scegliere, ci tiriamo dietro simili ruderi, di tanto in tanto. (Ruderi, che sinonimo elegante per una parola volgare come “rompicoglioni”!). Tra un tè alla menta e l’altro ho capito di stare sprecando i miei anni migliori e che la situazione non potrà che peggiorare, anche dopo la laurea e l’inizio di un eventuale lavoro. La vita di laboratorio deve essere eccitante al pari di quella dei tecnici di informatica, ma con ancora meno speranza di scambiare i propri fluidi corporei con un essere della nostra stessa specie. Per quale motivo, caro Dr. Trauma, avrei dovuto infliggermi un simile supplizio? Così ho cominciato a chiedermi cosa vorrei fare davvero. E sai che cosa ho capito, dopo un intero anno di riflessioni, caro Dr. Trauma? Di voler fare la donna delle pulizie. Un lavoro chiaro, concreto, retribuito in modo onesto: il presupposto per una vita coerente, attiva e priva di sensi di colpa. Anzi, alla gente gli fai pure pena, che non guasta, in un certo senso.
Ho osservato attentamente bidelle e addette alle pulizie in azione in contesti diversi, dall’università alla scuola di mia sorella, ma anche negli uffici dove pago le tasse universitarie e insomma nei vari luoghi che frequenta una persona segregata viva in un edificio pieno di gente noiosa che studia materie noiose: la mensa e la biblioteca. Pulire i cessi sembra un’operazione affascinante. Sono abbastanza convinta che non esista modo di conoscere più a fondo la natura dell’essere umano e non voglio lasciarmi scappare un tale patrimonio di conoscenza. Chissà, magari dai primi anni di professione potrebbero sorgermi nuove passioni, curiosità tutte mie da sviluppare tornando sui libri nel tempo libero. Certo sarò stanca, dopo aver pulito ‘sti cavolo di pavimenti per otto ore. Saranno otto ore tutte di fila? E se mi viene il rigetto per l’odore dei servizi igienici lasciati in cattive condizioni? Se lavorassi in un edificio di lusso il rischio sarebbe senz’altro più basso, ma so per certo che anche i ricchi…fanno certe cose. Eh sì. L’opzione peggiore sembrano i bagni dei giardini pubblici. Potrei trasferirmi in una città senza giardini pubblici. Un po’ complicato, ma è un’idea. Anzi, basterebbe controllare che, in caso di parchi, non siano muniti di servizi, questo è già più facile. Le stazioni pure mi spaventano assai: e se mi prendessi delle malattie, dottor Trauma, eh, ci ha pensato a cosa farei dopo? Con uno stipendio da fame come me le procurerei le medicine? Finirei a recuperare il sogno adolescenziale del periodo Trainspotting e comincerei a drogarmi. Anche se, in effetti, se non avessi i soldi per le medicine dove li troverei quelli per la droga? Potrei andare all’ospedale a chiedere la morfina, ammesso che uno possa entrare e dire che vuole della morfina, riceverla e salutare con un cenno di ringraziamento, tutto gratis. Ai drogati la danno, no? Mi pare di sì, controllerò. In definitiva, prima che mi faccia perdere il filo, Dottor Trauma, lei ha proprio delle idee del cavolo. Me lo spiega chi me lo fa fare di andare a fare le pulizie quando posso finire l’università e lamentarmi tutta la vita della crisi?
Un cordiale saluto a Lei e al resto della redazione.
Vostra affezionata lettrice,
Giunghiglia Trotti
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