Noi tartarughe siamo lente. A volte ci serve un'ora per finire una manciata di susine, anche se c'è in corso una gara contro la bambina che ci porta da mangiare. Nel tempo che lei se ne divora sei, noi ne finiamo due, dopo averle recuperate dalla fessura tra i mattoni della nostra casetta parasole dove le abbiamo fatte ruzzolare per sbaglio. Anche le emozioni, le digeriamo con lentezza e non siamo mai state in lizza per il Premio Svegliezza e Reattività.
A suo tempo, infatti, mi sono resa conto di essere incinta solo all'uscita del secondo uovo dalla mia coda.
Il primo ha pagato care le conseguenze della mia scoperta tardiva: mi è scappato mentre camminavo. Da qualche ora avvertivo un certo fastidio e avevo voglia di scavare, tant'è che avevo iniziato una buca senza sapere cosa farci. Mi ero allontanata dagli scavi per cercare dell'erba - tutta roba legale, se ricordo bene - e mi è ruzzolato via un globo bianco nemmeno troppo leggero. La bambina delle susine, che all'epoca faceva la spia di tartarughe al soldo dell'Anti-ecosistema, sbucò da dietro il cespuglio e ripose l'ovetto nella buca, con delicatezza e senza girarlo. Precauzione inutile, l'avevo già fatto ruzzolare io, non ne sarebbe potuto nascere mai niente, nemmeno un animaletto deforme. Le uova di tartaruga esigono lentezza e perfetto equilibrio.
Di uova non mi intendo molto perché non mi pare di essere una gallina, anche se non mi sono mai vista allo specchio quindi un margine d'incertezza resta. In quanto ovino, un piccolo uovo quindi, qualunque gallina abbia fatto un minimo di auto-analisi è esperta di uova. Da parte mia, so' lo stesso alcune cose in merito, perché la spia viene sovente a farsi un succo da me e mi spiega tutte le idiozie che trova nei libri sulle tartarughe.
Forse è lei la vera tartaruga e io la ragazza. Altrimenti non mi spiego cosa gliene freghi di come preservare la vita dei futuri tartarughini.
A me delle uova non me ne importa un sasso, e questo conferma che non sono una gallina, ma una tartaruga. C'interessiamo poco della prole, anzi ce ne sbattiamo proprio. La sforniamo ancora oviforme e poi evitiamo di entrarci in contatto. Se proprio ci vengono addosso, i piccoli, facciamo finta di non conoscerli. Siamo gente solitaria e indipendente, noi. Delle vere dure, altro che le suffragette!
Ogni tanto, però, ci scombussolano i ritmi.
Tartarughe Ninja di marzapane, dal museo di Szentendre, a nord di Budapest |
Vivevamo in questa comunità di recupero per testuggini multicolore, per riadattarci alla vita normale. Tutte noi avevano infatti affrontato una debilitante malattia del carapace, che ci aveva costretto a un trattamento devastante. E imbarazzante.
Le fasi cromatiche. Roba che a Picasso gli lisciavamo i baffi tutti i giorni con la rugiada del primo mattino.La prima volta che mi sottoposi alla terapia mi portarono in un giardino spazioso tipo ricovero per gli anziani, però in cima a una montagna. Con un'unica colata puzzolente invasero il mio tetto (il guscio) di una soluzione dall'aspetto radioattivo, che mi rese tale e quale a un alieno immaginato da un fanatico delle tartarughe. Ero verde fluo. Per fortuna ero un'adulta e non dovetti sopportare l'umiliazione di presentarmi a scuola in quelle condizioni! Finito il periodo verde, passai a quello giallo, che mi parve già più accettabile, non fosse che ero quasi dorata. "Guarda, sembra le Nike dello Gnarra, quel pottone di Follonica che esce con l'Ari", commentò un'amica della spia. Immaginai non fosse un complimento. Il peggio, però, doveva ancora venire. Un nuovo trattamento fu suggerito da un dottore consigliato dal miglior dottore del mondo, quindi da uno qualunque. Applicato, mi rese invincibile. Ero di un bel viola lucido e cangiante. Dopo numerosi tentativi di suicidio, mi mandarono in Lombardia, dove è tutto meglio. I milanesi non sono approssimativi come i toscani, hanno considerato il mio disagio alla stregua di una fila di denti in più, gridando al trauma e aiutandomi ad uscirne. Dopo un anno, il colore era sbiadito e stavo tornando guardabile. Mi suggerirono di restare a Milano. Ripensai alla frustrazione degli ultimi mesi in Maremma, alla corda che non sapevo legarmi attorno a un collo che non si strozza nemmeno tanto bene, a quel sentirmi più ridicola della spia quando usciva per andare in discoteca con le zeppe...A tutte le volte che mi ero buttata da un albero senza riuscire a far altro che finire a gambe all'aria e attirare ancora di più l'attenzione, mentre avrei voluto solo sparire del tutto, come in quella canzone dei Radiohead che ascoltavo sempre. La mia reputazione in Toscana era rovinata. Tanto valeva restare tra quegli esaltati, alla fine erano simpatici, anche se non capivo che torsolo volessero quando mi intimavano "Stai sul pezzo!".
Sul pezzo de che?!Furono contenti di avermi tra loro, i toscani piacciono. Dopo due giorni, mi misero sotto.
"Ah, ma allora è una di quelle storie che lei è morta e racconta dall'aldilà..."
Se esiste un paradiso io non lo so, ma anche se ci fosse, vi sembra credibile che sia abitato da tartarughe blogger munite di computer e connessione Internet? Anche no, vero?
Un paio d'ore dopo l'impatto, il minimo per riprendere fiato - ho tirato fuori la testa. Mi sono guardata le zampe e non c'erano. Un colpo che non stò a descrivervi. Poi mi sono ricordata: sono una tartaruga, perdinci! Hop-hop tarta-gambe! e eccole lì, tutte squame e niente inestetismi.
A volte vorrei non essere una tartaruga, mi illudo di poter cambiar vita. Che male c'è? Potrei essere anche un dinosauro, ora che ci penso. Proverò a mangiare le foglie dagli alberi, allora. Vado ad arrampicarmi, ci si vede in giro.
A volte vorrei non essere una tartaruga, mi illudo di poter cambiar vita. Che male c'è? Potrei essere anche un dinosauro, ora che ci penso. Proverò a mangiare le foglie dagli alberi, allora. Vado ad arrampicarmi, ci si vede in giro.
Finelmente l'ho letto... brillante come sempre e pieno di inventiva... a presto claudetta,
RispondiEliminaAngelo
Grazie Angy, avere degli amici supersimpatici aiuta! :)
RispondiEliminaCla