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Il mondo è pieno di ladri (il tempo per scrivere)

Quando finalmente arriva l'ora libera per scrivere, le due di notte, ti dicono che c'è da spostare le lancette in avanti di un'ora. Sono le tre, idiota, vai a letto ché poi domattina ti alzi tardi...

Il mondo è pieno di ladri. Almeno dal punto di vista di un essere umano,
ma posso intuire senza evidenza empirica che questo sia un dato di fatto anche per gli altri animali e mi prendo l’appunto di procedere quanto prima a una serie di interviste a qualche rappresentante di specie differenti. Positivo che almeno i ragazzi giù allo zoo cittadino confermeranno la tesi: gli hanno rubato tutto e li guardano pure mentre vanno avanti e indietro nei recinti, nudi della loro storia e di qualsiasi speranza. 

Il mondo è pieno di ladri. Per nascondere questa verità è stato studiato un sistema che riconosce valore e appetibilità solo a cose di nessuna importanza, come i soldi, i frontalini delle autoradio e delle pietre ritenute diverse dai sassi perché ci paiono più colorate. Oggi, in un mondo capace di distinguere l’inutile da ciò che realmente conta, avrei dovuto denunciare, nell’ordine, le persone che seguono. Il vicino, sempre in cima alla lista dei mie pensieri, che ha bussato ad oltranza nonostante potesse vedermi seduta a scrivere al tavolo della cucina e interpretare la mia impassibilità come un segno di indifferenza e intuire che non gli avrei mai dato udienza. La mia stanza da cottura e sollazzo affaccia difatti sul cortile da cui il signor Ortensia stava tentando di fracassarmi la porta o le parti basse, riuscendo meglio nella seconda impresa, nonostante non sia dotata di tali ciondoli da frantumazione - sostituiti però da una pazienza defunta in larga parte durante la Guerra del Golfo (non che vi abbia partecipato, ma risale quegli anni la scomparsa della mia capacità di tollerare e attendere). 
Dunque il signor Ortensia questa mattina ha deciso di depauperarmi della possibilità di scrivere un racconto concepito nel dormiveglia dell’alba e per sempre dimenticato, sepolto dalla rabbia e distratto dal faccione dell’uomo, rosso di vino e di rancore contro la vita. Per altro non so neanche perché abbia deciso di invadere così nella mia esistenza, né lo saprò mai, visto che non gli apro e se lo incontro fuori casa mi fingo morta, con cadute posticce ma dolorose che l’avvinazzato riesce ad ignorare con la stessa indifferenza che io riservo a lui. 
Irritata ho poi da incolpare solo me stessa se ho avuto bisogno di un’ora di corsa per ritrovare l’ordine mentale necessario alla concentrazione e altri colpevoli non trovo se quei sessanta minuti sono diventati quasi il doppio per via di un bivio imboccato male che mi ha portata su una collina sconosciuta e a perdermi del tutto in un boschetto dove ho pensato di stabilirmi. Ho poi capito come ritrovare la strada da casa: urlando fino a che un tale in bicicletta non mi ha sentita e indicato la direzione, raccomandandomi anche di non girare senza navigatore, visto che sono troppo cretina per orientarmi da sola. Simpatico, c’è sempre bisogno di gente motivante e cortese, di questi tempi.

Vi risparmio i dettagli sulla doccia incapace d'individuare la persona grondante di sudore e preferendole la lavatrice, il muro, la porta e, dopo qualche tentativo di indirizzarla, lo specchio, già più comprensibile in quanto rifletteva l’oggetto che avrebbe dovuto colpire. Sorvolerò anche sul tempo perso di conseguenza a sistemare la stanza e le suppellettili. A quel punto mancava solo la vestizione per poter poi uscire e andare a scrivere lontano dal mio appartamento, un pozzo del tempo perso. Potevo iniziare a pensare. Il pensiero è la fase più importante per scrivere e può essere talvolta più lunga dell’atto che precede e che prepara. Intanto stavo cercando il vestiario. Mi serviva una felpa e nel trovarla si è acceso il bambino dei vicini (altri vicini, ne ho almeno ottanta), sensibile ai movimenti del mio armadio che poggia sul muro confinante con la sua cameretta, il vero muro del pianto, favole che sia a Gerusalemme! Il suo strillar mi allietava mentre provavo a concentrarmi su un’idea, uno spunto, un personaggio. Ho stirato la felpa meditando di raccontare di una storia d’amore in un asilo nido, unica ambientazione concepibile in un simile fracasso. Allorché ho deciso di sistemare meglio il filo del cappuccio della felpa, mi sono accora che il cordino era entrato nel cappuccio da un lato e mi serviva quindi una spilla da balia per estrarlo. La ricerca del Sacro Graal ha richiesto meno tempo. La memoria mi ha suggerito un abito cui avevo applicato una spilla per non fare l’orlo: lo recupero, l’armadio oscilla, il piccolo riparte con la sirena d’emergenza. Intanto che l’ugola bianca imperversava di nuovo, mi cimentavo nell’estrazione dello spago, perdendo la spilla dentro il bordo del cappuccio. Tra radar, manuali di fai-da-te, ricerche su Internet e consultazioni telefoniche con l’Australia, alla fine riuscivo nel mio obiettivo. Mi era passata la voglia di mettermela, ho preso una giacca di pelle e sono uscita.

La felpa era il ladro di tempo numero sei. Dunque: l'ora legale,  il vicino, me stessa, la doccia rotta, il poppante, la felpa. Finita? Macché! Sono uscita e chi incontro? Girolamo, o Girolámo Rovetta, come lo chiamo io in omaggio alla via di una scuola che ho frequentato per qualche mese, da piccina. Girolamo, o Girolámo, è uno dei miei perdigiorno preferiti. Per benevolenza del cielo abitiamo lontani, lontanissimi, ma il diavolo mi è venuto in aiuto anche in questo caso e gli  ha piazzato il medico curante a due passi da casa mia (quello non curante presumo lo abbia nel quartiere di residenza). Per mia fortuna Girolámo non è solo logorroico, ma pure ipocondriaco, quindi va dal dottore tipo a giorni alterni e, per un caso o per l’altro, me lo sciroppo quasi sempre appena dopo la visita, così può raccontarmi di quanto stia male benché in realtà sia più sano di un litro di aloe vera biologica. Oggi, per farvi capire, aveva la “nonpieghite”: non poteva flettere nessuna articolazione del suo articolatissimo corpo. Con Girolamo, o Girolámo, vale il principio dell’imprinting che caratterizza gli uccelli appena nati: chi lo incontra subito dopo una diagnosi dovrà aiutarlo fino alla fine del disturbo che si è inventato reinterpretando il dottore. “Come faccio, oggi devo proprio traslocare tutta la mia roba in cantina perché domani faranno dei lavori urgenti nel mio appartamento. E io non mi posso piegare! Ti rendi conto? Aiutami, ti prego!”. Sia chiaro, io aiutare non lo aiuto mai, figuriamoci, sono iscritta al registro degli inutili e mi giocherei l’appartenenza all’ordine con un atto del genere, ma comunque ci devo perdere tempo, se non altro per trovare il numero di qualcuno che mi sta sui cosiddetti abbastanza da affidargli Girol’amo per una dozzina di ore. Persico è la vittima designata: uno che di cognome fa Pesce quindi si becca tutti i nomignoli che è il caso di appioppargli finché persiste un po’ di sana ironia in queste menti depresse dai computer. Gli spedisco Girol’esca,  che tanto sono sulla stessa lunghezza d’onda, poi sparisco. 
Mi sovviene che alle due ho appuntamento con un’amica che ha proprio bisogno di raccontarmi una cosa e ha proprio bisogno di un consiglio e “per favore ti prego vediamoci”. Vado da lei e per due ore faccio sì con la testa pensando a quanto vorrei scrivere e che non ce la farò mai. Piuttosto mi inviterà a cena Tom Cruise, mi regaleranno un viaggio a Parigi con partenza immediata o mi chiederanno di fare la comparsa in un film (l’ultima mi è successa davvero, anni fa). Lascio la disgraziata in lacrima per un problema che aveva anche prima di sfogarsi con me e che non ho alleviato e trovo un messaggio della mia amica che abita tanto lontana, all'estero anche lei, possiamo parlare? Le telefono, un’altra ora lontano dal quaderno a spirale. “Hey, ricordi che hai promesso di portarmi a correre stasera?”, lampeggia un ulteriore messaggio sul telefono. Ricordavo, sì, a tal punto da essere andata a correre questa mattina, ma non posso rimandare un’altra volta, sarebbe la decima che posticipo con quella persona, quindi rincaso, mi cambio e via. Un’altra doccia e fuori di nuovo.
Annientata dalle ore regalate allo scorrere pacifico della giornata e con le gambe a pezzi, cerco nuova carica in un caffè. Ne provo otto, prima di capire che per oggi di bere un espresso decoroso non se ne parla. A Budapest trovi tante caffetterie e molte miscele dignitose, ma puoi procurartene anche di disgustose, e ad elletrolitri! Alla fine penso di andare nel posto più vicino a casa mia, quello sempre chiuso nelle ore in cui un caffè ha senso e che apre solo a suo talento, quando il proprietario si annoia a casa. Oggi devo aver bevuto una centrifuga di quadrifogli, perché lo trovo aperto e senza nemmeno un evento privato all'interno come le altre volte! Loro fanno solo il caffè, spiega un cartello all’ingresso, ma lo fanno bene! Che bellezza, no?
“Vorrei un espresso, per cortesia.”
“La macchina del caffè è rotta.”
“Ah. Fino a che ore siete aperti oggi?”
“Fino alle otto, penso.” (“Penso”!!!)
“Perché?”
Il signor barista sfoggia la faccia da "che ci vuoi fare, è andata così".

Proprio vero: è andata così e anche oggi non abbiamo potuto scrivere quanto previsto nelle ore in cui la mente era sveglia; lo stomaco si contrae dal nervoso, il corpo si prepara a un’altra notte insonne, a scrivere paragrafi che finiranno cancellati.
La conta dei ladri di tempo odierna dice 10: l'ora legale, il vicino vecchio, me stessa, la doccia, il vicino minorenne, la felpa, Girol’amo, l'amica sul posto, l'amica al telefono, il compagno di corsa, il caffè introvabile.

Per vendetta mi siedo, scrivo e rubo il tempo a chiunque stia leggendo.

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