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Tartacronaca Nr.10 - Senza chiavi e col cervello all'incovercio

Progettare il futuro
Da piccola mi divertivo a parlare al contrario, a mettermi il pigiama alla rovescia, e quando volevo strafare anche "col didentro di fuori", leggere da destra verso sinistra, ribaltare il senso di quello che volevo dire pur non conoscendo ancora il sarcasmo e appiccicare le figurine all'ingiù, ricoprendo di colla il lato disegnato. Per quest'ultima trovata in particolare mi assegnarono ad honorem una laurea in demenza precoce, che non fa curriculum ma ti esenta dal doverti iscrivere all'università per ottenere un titolo - ce l'hai già -, oppure ti permette di essere un plurilaureato anche se come me hai fatto solo tre anni di università frizzo e del lazzo in salmì, con un anno in Erasmus per non rischiare che proprio all'ultimo comparisse qualche motivo per studiare davvero, dopo che per 13 anni di carriera scolastica ne hai fatto sfacciatamente a meno. Spesso per vestirmi partivo dal cappello, poi la sciarpa, il cappotto e così via. Un'opera impegnativa e dispendiosa: i calzini si rovinano, a metterli sopra alle scarpe e anche le canottiere non resistono bene all'inserimento sopra al cappotto. La soddisfazione d'altronde era immensa e non sapevo rinunciarvi. A un certo punto devono avermi detto qualcosa, perché ho smesso di campare alla rovescia. Prima la minestra, poi la carne e solo alla fine il dessert, se c'era. Il retaggio di quello stile di vita, tuttavia, devo averlo conservato nella mia scatola cranica, insieme all'abaco con cui tuttora faccio i conti e qualche foto trovata sui treni, da restituire in caso mi capitasse di incontrarne i proprietari. Me ne sono accorta in questi giorni, realizzando di aver traslocato prima di aver deciso verso dove.

"Niente panico - mi son detta - sfrutta la tartaruga che c'è in te e sistema la tua roba nel guscio. Se proprio non ci sta, fatti un poco da parte. Sarà scomodo, ma il fastidio e il peso del fardello ti stimoleranno a decidere più in fretta".

Faccia da trasloco


Voce interiore, se mi senti ora che ti parlo con quest'altra voce, giacchè evidentemente ne ho più d'una, ti ringrazio. A molto valse la scelta di cambiare aria, per quanto doloroso sia lasciare un posto dove si è vissuto bene e soprattutto si è vissuto. Al netto della nostalgia, però, bisogna dirlo: val sempre la pena di dare una bella agitata, dopo un periodo di stallo. E così mi son buttata di nuovo sotto una macchina, no volevo dire che mi sono gettata di nuovo a capofitto nei sogni, nella voglia di inventare bischerate e di farle. E che cosa ho fatto? Prima di tutto sono andata a dormire (si fa per dire, avevo una discreta molte di lavoro da sbrigare al computer) una notte a Firenze, dove provida è stata la compagnia della tarta-cugina e una salubre la corsa sull'Arno, tra le nuvole leggere dello smog fiorentino e i vapori tossici del romantico fiume. Le ore di treno hanno favorito la concentrazione sul lavoro e il rientro a Milano è avvenuto senza stragi di ottimismo. Alloggio in delizioso ostello ove l'arredamento è di un moderno color trasparente sparito: in una camera grande come un campo da pallamano (quindi più piccola di uno da calcio, ma forse più grande di uno da pallavolo, non ricordo) (lo ricordo, ma a volte scrivo le bischerate per terrore di non averne inserite a sufficienza. No, non scherzo. Sì, mi sottovaluto), dicevo, in questo stanzone stanno due letti posizionati con una casualità tutta bohémien e, colpo di genio, un piccolo ventilatore che solo i più attenti al dettaglio avranno notato. Il suo posizionamento accanto al termosifone rotto sono chiara manifestazione dell'intento dell'artista di creare un incontro di opposti nel bisogno comune. D'estate fa caldo e hai un ventilatore senza presa elettrica, d'inverno rasseghi e ti consola un radiatore antelucano con i tubi otturati. C'è anche un soprammobile, una ragazza a occhio e raziocinio finlandese, appollaiata su uno dei due materassi. Rappresenta l'alienazione della modernità, talmente presa da una chat e isolata dalle cuffiette che le sparano musica tecno nelle orecchie a volume che farebbe rintronare perfino il mio, di cervelli, se non lo avessi dimenticato sull'Intercity. Dopo un paio di finti attacchi di tosse per farmi notare mi decido a farle una domanda, applicandomi molto sul labiale, visto il frastuono. Risponde "no, chiedi di sotto", ma ride al mio commento sull'accoglienza della stanza. C'è del contatto umano, incredibile. Ella non è un elemento di decoro venuto male (le chiedo perdono, ma non corrisponde alla descrizione che in genere si fa delle finlandesi, a parte per i capelli per il calore nei modi. Assente), ma una cliente.
Ora che si fa? Ultimi impegni milanesi e poi via verso la prossima avventura, di cui saprete solo se e quando avrò voglia dirvelo. O guardando Facciadaschiaffi.

Post Scriptum più importante della parte soprastante: all'indomani di questo post, ricevo una telefonata spiazzante.
Tempo fa ho partecipato alla selezione per una cosa che, per quanto interessante, non pensavo di voler fare.  
"icche tu la fai a fare - mi ha chiesto una parente piu' che stretta - allora?".
"Perche' tanto non mi prenderanno mai, i candidati sono troppi. Dagli esami e dai colloqui c'e' sempre da imparare, lo diceva anche Dante!"
"Dante?"
"Era per dare autorevolezza alla frase!"
"T'hai ragione, un ti prenderanno mai."
 
Mi sono talmente impegnata per non essere scelta che hanno selezionato me e non solo: mi danno pure una borsa di studio. Il tutto si tiene a Milano, chiaramente. E io ora devo ridecidere da capo. Maledetta Milano, ma mi lasci andare?!

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