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Tartacronaca in corsa

SPACCIATORE DI CORSA Quando dicono che è una droga intendono dire che dà dipendenza. Evito di specificare che sto parlando della corsa, non vorrei passare per una persona monotematica: spesso parlo anche di quando collezionavo bustine di zucchero o dell'elefante di cartone che provai a costruire con le istruzioni di Famiglia Cristiana, ottenendo un coniglio su una mongolfiera, secondo il parere unanime dell'ospizio dove dimorava la vicina e tutti i suoi amici, una bella banda che per qualche motivo costituiva il mio intero parco amicizie (mi sono poi resa conto che avrei perso tutti i miei compagni di giochi prima dei miei quindici anni. Per fortuna mi sbagliavo: la signora Tramontana è morta alla rispettabile età di 106 anni, quando ne avevo già 19). Se corressero davvero, saprebbero che non solo dà assuefazione ed euforia, perché anche questo lo considerano, va detto, ma anche produce bellissime allucinazioni, rarefà i pensieri, rende nitide le sensazioni, attenua fastidi e dolori. Tutto questo dopo i 15 chilometri, quando cominci a volerne sempre di più. Così ho deciso di cambiare lavoro e darmi allo spaccio. Spaccio corse come fossero droghe, pacchetti-corsa invece che di costose polveri sudamericane. Ho provato a farmi un giro, mi sono persino comprata il motorino, perché senza che spacciatore sei, ma per ora la mia clientela è la stessa di quando vendevo lampadine fulminate: i malati di acquisto, quelli che comprano qualsiasi cosa pur di spendere. Va bene, la pianto qui, gli apostoli e compagnia (bella, per carità, bella) benedicano l'inventore delle bevande isotoniche.

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