Passa ai contenuti principali

Tartacronaca Nr.8: Vattene, non mi dire addio

Muro estero di una casa in via monte altissimo, a Milano in zona Villapizzone
"Se vuoi andartene - mi ha detto Milano una domenica mattina - vattene e basta. Se vuoi cambiare citta' fallo, non addiarmi, se mi addii avro' il tempo di trattenerti e alla fine resterai"
"Ma come cavolo parli?"
"Senti come suona bene: AddiaMI! Naturalmente a te non e' concessa la liberta' di inventare siffatte forme verbali, ma la tua amica tartaruga lo fa di continuo. Serve un certo grado di..."
"Sbruffonaggine? Egocentrismo?"
"Avrei detto superiorita', ma non m'importa adesso. L'importante e' che tu abbia capito che non te ne andrai!"
Stavo camminando su un ponticello dalle parti di Piazza Conciliazione dove gia' al mio arrivo Ella si manifesto' alle mie orecchie. Penso che non ci passerò mai più per non correre il rischio che Ella mi parli di nuovo: la trovo inquietante, anche perchè non capisco da dove le escono le parole, se dalla guglia di Porta Garibaldi, quella che se la guardi vedi degli immaginari pipistrelli anche in pieno giorno o se dalla profondità delle metropolitane, da quel sottoterra che è la vera Milano, il suo stomaco.
In ogni caso sono andata avanti, ho lasciato che passassero le settimane sempre più determinata a farmi un periodo di riflessione in Toscana, così strutturato: torno a casa, mi pianto davanti allo specchio del bagno e mi osservo finché il tedio non mi avrà convinto a decidere. Quindi prendo la valigia e mi metto in viaggio.
In parte ho fatto così, ma dopo nove ore in terra natìa ho già appuntato un numero tale di impegni localizzati a Milano che non posso far altro che lasciar cadere le braccia: ha deciso Lei.

Commenti

Post popolari in questo blog

I figli e i nipoti di "Papa" Hemingway

A volte mentre leggo i capolavori dei grandi del secolo scorso, mi chiedo come se la passi la loro progenie. Certi talenti potrebbero anche essere genetici e forse un giorno ci troveremo tra le mani un bel romanzo di avventura firmato dal pronipote di Bulgakov o vedremo in classifica i nomi Kipling e Orwell . Di nuovo. Del resto, se fossi la discendente di Juri Gagarin, m’interesserei di astronomia e se invece tra miei avi ci fosse stato, mettiamo, Temistocle , non avrei accantonato la matematica alle prime difficoltà liceali. La storia familiare può anche non influenzarci, ma tende a farlo quando i nomi che ci hanno preceduto sono altisonanti. Per questo mi è sembrata un’idea carina quella di fare una piccola ricerca sugli eredi degli scrittori più amati del secolo breve (che, lo ricordo per chi non lo sapesse, fu chiamato così guardando alle svolte epocali della storia, ritenendo che l’Ottocento fosse il secolo lungo in quanto è iniziato nel 1789 con la Rivoluzione Franc

COME DISEGNARE UN CERCHIO COL COMPASSO

Vorrei saper disegnare. Vorrei saper disegnare qualcosa di più di un cerchio col compasso. Non nel senso che vorrei imparare a disegnarci i quadrati e nemmeno le peonie o la caricatura di Dante, con il compasso. Anzi, per essere precisi non vorrei imparare, vorrei proprio saper disegnare, punto. Anzi, non punto: saper disegnare….qualcosa di più di un cerchio con il compasso. Sia chiaro, non che io aspiri a disegnare dei tondi felici mentre scorrazzano con i loro compassi al guinzaglio, anche se in questo ci vedo un parallelo con il nostro ammaestrare la natura che ci ha creato, o dio. Oddio, ma di che parlo. Vorrei essere capace di disegnare, ma non un cerchio perfetto, da volteggio di compasso. E nemmeno vorrei essere capace di disegnare un cerchio perfetto senza compasso, perché allora mi direbbero: "di cognome fai Giotto!". Se mi chiamassi Giotto di cognome, però, il mio nome sarebbe "Uhm", che è come di solito chiamiamo Giotto, se interpellati sul suo nome d

Tartacronaca Nr.5 - La pianta milanese della felicità

Supermercato, ore 21.50. Cassiera a ragazzo, lui ha appena comprato una pianta: "E' un ficus, la pianta della felicità, vero?" Ragazzo, con espressione assente e seccata: "E' una pianta da appartamento." (Cassiera perde quel briciolo di autostima che le aveva dato il coraggio di tentare una mezza conversazione al termine di un turno massacrante.)  Mi è venuta la tentazione di avvicinarmi e guardarlo con un monocolo immaginario come se fosse un'opera d'arte di rara bellezza , per poi dirgli: "Semplice, essenziale: sei tu. TU SEI MILANO!". Sarebbe stato da portarlo a Rimini dentro a quel parco con la riduzione in scala delle città italiane e metterlo al posto del duomo di Milano che riempirebbe a meraviglia quel brutto spazio vuoto in camera mia (oltre a diventare un bersaglio perfetto per una serie di giochi da tiro). Il giovanotto avrei potuto lasciarlo lì per i padri etnologi dei bambini costretti ad amare la geografia, ins