Adolescenza is back! |
L'estate scorsa il caldo e i troppi sbattimenti di guscio mi hanno convinta a prendere le distanze da Milano per qualche giorno. Mi sono impegnata in una serie di trasferte non scontate, se si considera che viaggio con la casa in spalla.
Vi racconto questa avventura adesso che siamo quasi a novembre perché fa freddo e non è male ripensare al caldo anche se poi si patisce ancora di più per maggiorazione dello squilibrio termico, una questione psico-somatica come l'80% dei disturbi di moda in questi anni.
Vi racconto questa avventura adesso che siamo quasi a novembre perché fa freddo e non è male ripensare al caldo anche se poi si patisce ancora di più per maggiorazione dello squilibrio termico, una questione psico-somatica come l'80% dei disturbi di moda in questi anni.
Era agosto e, avendo le ferie, prima sono andata a Londra per 4 giorni, poi sono tornata a Milano e in un tarta-lampo mi sono catapultata a Budapest (avere il guscio è comodo, in certi casi!). Dopo 4 giorni di festival, interviste e lazzi vari, sono rientrata SU Milano (si dice così, una volta ve lo spiego) e, diventata venticinquenne, ho virato su Grosseto, per altri 4 giorni di facezie condite con interviste (una, a Caparezza). Vi racconto le mie peripezie londinesi concentrandomi solo sugli episodi più irrilevanti. Sono sicura che apprezzerete.
Aereo
"Signorina, tutto bene? Ha la febbre?" chiede il signore sposato seduto al mio fianco, gli occhi fissi su una parte di me che sporge e non è il guscio.
"Non mi sento al top - rispondo, con sfoggio di linguaggio business milanese-, ma non è niente, ora passa." Che, tradotto, significa: maledetto rompicoglioni, ma i fatti tuoi?
"Sir, sir - rivolgendosi allo steward a cavallo, con la parrucca di boccoli come un vero lord inglese. Viaggiare con EasyJet regala di queste chicche - porti un...vuoi un succo cara? Dell'acqua?"
"Grazie, ma non importa, non sto poi tanto male" dico, con voce rauca.
Mi ordina un succo (non alla pera, ma mi accontento), una bottiglietta d'acqua e un thé. Lo ringrazio e lui replica che devo avere la febbre, è meglio se bevo il thé e assumo più liquidi possibile, sto sudando freddo (cacchio ne sa?!) e sembro debole. Se mi serve aiuto posso contare su di lui anche a Londra, sussurra allungandosi verso il mio orecchio. Mi lascia il numero se voglio. Sorrido e faccio no grazie con la testa (c'è modo e modo di scuoterla, ecco il mio era grato).
La febbre.
Avrà mai provato ad addormentarsi accanto a un finestrino su un volo in partenza da Milano in pieno agosto alle due del pomeriggio?
Avrebbe sudato anche lui, il marpione.
Avrebbe sudato anche lui, il marpione.
Londra
Andare a Londra mi ha tranquillizzato sulle capacità di quel tipo che sgombera gli appartamenti a Milano: c'è un limite alla dispersione dei suoi volantini con scritto "SGOMBERO TUTTO", che in Mainland si manifestano a ogni battito di ciglia. Avendoli visti anche a Monza, a Sesto San Giovanni e a Cinisello Balsamo, mi aspettavo di trovarne uno anche nella periferia londinese, attaccato a un albero. In effetti quando ho trovato qualcosa di simile, scritto in inglese, ho controllato che il numero di telefono indicato non avesse il più trentanove dell'Italia e il prefisso di Milano.
A parte questo, l'esperienza è cominciata alla grande: il primo giorno, al risveglio, mi hanno offerto una birra appena ho messo piede nel corridoio dell'ostello. "Sto andando a correre", ho risposto. Il giovane in questione ha riso e commentato con un accento che in italiano traduco così: "Cioè sto proprio in botta! Tipo me sa che ieri ar posto de a bira me so fatto un trip de elesedì". "E poi ho smesso con l'alcol" ho aggiunto. Gli ho preso la bottiglia chiusa dalla mano sinistra e l'ho riposta in camera, per quella sera. Sono andata "ar parco", dove per fortuna vietano l'ingresso solo a chi nutre gli uccelli, agli hamburger e ai bicchieri con la cannuccia, che evidemente qui sono in grado di camminare e soffrono di pesanti discriminazioni. Solo fish and chips e "bira", guai andare in giro se sì è un panino o una bevanda diversa! Il parco è un bel posto. Grande, mi ha intrattenuto per ben cinque minuti, poi mi mancava l'aria. Sono uscita e ho notato subito il cartello con il nome del posto, che ovviamente è risultato essere uno spazio per bambini. Mi sono messa a correre per le strade, trovandole tutte uguali e non al 2007, quando ho vissuto a Londra per un po', ma a loro stesse. Roba da spaccarsi il guscio dopo sei mesi di capocciate nel muro (tempo di resistenza stimato in base a calcoli empirici e interviste).
Il secondo giorno la colazione in ostello è stata una piacevole sorpresa. Una specie di festival del furto a cielo aperto, dove tutti si appropriavano di tutto e le fette di pane tostato si imbottivano non solo di complementi di arredo dell'ostello, ma anche di portafogli altrui e generi alimentari comprati da un deficiente che si era fatto tutta la strada a piedi fino al primo supermercato per colazionare decentemente. Ho tentato la tecnica di due giorni prima, mostrandomi accaldata e con poca forza, ma mi hanno offerto solo uno yogurt avviato e della margarina, che non mi piace. Mi butterò sui toast con la marmellata, ho pensato. "Jam's over" mi ha tranquilizzato l'oste, se così posso chiamarlo. Meno male, sia mai che mi viene il diabete. Pane solo e caffè inglese, l'inizio perfetto! Avevo una mela e una pesca (quest'ultima trovata a Malpensa), ma me le hanno rubate, così mi sono rassegnata al succo di caramella all'arancia che spacciavano per spremuta. Che amarezza. Mentre ci pensavo una ragazza mi ha chiesto indicazioni per andare a Chelsea. Alla prima parola con la doppia vu pronunciata dalla fanciulla ho riconosciuto il familiare accento: era ungherese.
Le ho spiegato come andare a Chelsea pur non avendone la più pallida idea ma solo il vago il ricordo di un autobus con scritto "Chelsea - The end of the world" o qualcosa del genere. Il mio bisogno di praticare l'idioma magiaro ha fatto sì che m'informassi al posto suo e diventassi il capogruppo di una piccola comitiva di diciottenni di Budapest in vacanza di perdizione a Londra. Giornata persa.
A parte questo, l'esperienza è cominciata alla grande: il primo giorno, al risveglio, mi hanno offerto una birra appena ho messo piede nel corridoio dell'ostello. "Sto andando a correre", ho risposto. Il giovane in questione ha riso e commentato con un accento che in italiano traduco così: "Cioè sto proprio in botta! Tipo me sa che ieri ar posto de a bira me so fatto un trip de elesedì". "E poi ho smesso con l'alcol" ho aggiunto. Gli ho preso la bottiglia chiusa dalla mano sinistra e l'ho riposta in camera, per quella sera. Sono andata "ar parco", dove per fortuna vietano l'ingresso solo a chi nutre gli uccelli, agli hamburger e ai bicchieri con la cannuccia, che evidemente qui sono in grado di camminare e soffrono di pesanti discriminazioni. Solo fish and chips e "bira", guai andare in giro se sì è un panino o una bevanda diversa! Il parco è un bel posto. Grande, mi ha intrattenuto per ben cinque minuti, poi mi mancava l'aria. Sono uscita e ho notato subito il cartello con il nome del posto, che ovviamente è risultato essere uno spazio per bambini. Mi sono messa a correre per le strade, trovandole tutte uguali e non al 2007, quando ho vissuto a Londra per un po', ma a loro stesse. Roba da spaccarsi il guscio dopo sei mesi di capocciate nel muro (tempo di resistenza stimato in base a calcoli empirici e interviste).
Londra, museo del fumetto |
Le ho spiegato come andare a Chelsea pur non avendone la più pallida idea ma solo il vago il ricordo di un autobus con scritto "Chelsea - The end of the world" o qualcosa del genere. Il mio bisogno di praticare l'idioma magiaro ha fatto sì che m'informassi al posto suo e diventassi il capogruppo di una piccola comitiva di diciottenni di Budapest in vacanza di perdizione a Londra. Giornata persa.
Il terzo giorno mi hanno cercato per tutto l'ostello e trovatami hanno espresso le loro rimostranze: dove mi ero nascosta? Ero a correre e se mi riparlate con questo tono da favola di Grimm vi prendo a testate, ho risposto. Avevano bisogno di aiuto per andare a Wembley. Sapevo come ci si arriva, ma mi avevano scocciato. Ho detto loro di prendere il primo autobus e scendere dopo 6 fermate, mi raccomando 6. Chissà dove sono andati. Tanto a loro bastava un minimarket per sfangare la giornata, non pretendevano altro. Finalmente libera dalla magiara zavorra ho cominciato a fare i miei ragionati giri per Londra: un'estenuante perdita di tempo. Ci sono io che cerco di andare un posto, dei turisti incapaci che mi chiedono un'indicazione e poi c'e' tutta la serie di coincidenze, maledette, che mi costringono a dedicare parte della giornata alle nuove conoscenze, che di solito contraccambiano mollandomi da sola a km da dove volevo andare. Almeno mi dissero soddisfazioni. Macche'! Tutti tarati sullo scemo andante li trovo! Questa e' stata la volta del gruppo di milanesi, manco a farlo a posta. Saluti a profusione, biglietti da visita, promesse vane di collaborazioni lavorative (tutti produttori di aria condensata anche loro). E intanto sono finita a South Kensington, del tutto fuori dalla zona dove dovevo andare.
E ora urge REIMPOSTARE MODALITA' HYPSTER. Facciamolo con una foto (quella in alto) e una canzone! ;)
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