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DAY 1 - In Italia non si esce

Giorno 1: una forza magnetica mi porta a controllare la pagina di Giuseppe Conte mentre mi lavo i denti. É la sera di lunedì 9 marzo 2020 e il Primo Ministro annuncia che l'Italia è tutta zona rossa, anzi arancione, o meglio: che non ci sono più sfumature, niente più vecchi contro giovani, stiamo tutti in casa, tutti, ovunque.
Mi trovo in Italia da diversi giorni, per un'operazione di routine, agli occhi. In teoria, ripeto: in teoria, dovrei rientrare a Budapest mercoledì 11 marzo. Da giorni mi interrogo su quanto sia corretto spostarsi, anche se in effetti io devo pur lavorare, per vivere. Dall'annuncio si passa al decreto, ed è già martedì. Verso l'una del mattino mi arriva l'sms della compagnia aerea ungherese: il mio volo è cancellato, posso chiedere il rimborso o prenotarne uno nuovo a scelta tra gli zero voli in calendario per le prossime settimane. Reagisco come mi ha insegnato una delle persone che ho più amato, pace all'anima sua: prendo un fazzoletto e mi metto a piangere. Poi mi ricordo che mi sono appena operata, non posso sfregare gli occhi e tutto sommato meglio piangere tra qualche settimana. Trascorro la notte a rimbischerirmi - wow, petaloso è italiano corretto e rimbischerirmi no? - tra i petali, guardando speciali Coronavirus (dovrebbero smettere di chiamarli così: voi state vedendo altro?) e ricevendo messaggi da amici, cari e conoscenti abbastanza increduli sulla severità delle misure italiane. Mi chiamano gli amici dalla serata di scrittura creativa in corso a Budapest e mi viene un attacco di Budapestite tremendo: mi manca tutto, anche lo sguardo carico sprezzante delle signore quando chiedi loro permesso sulle scale mobili che stanno bloccando.
Per mia indole e per deontologia giornalistica (non ha niente a che fare con i denti!) riporto i fatti dalla mia prospettiva, non rilascio opinioni. A casa qui in Italia non abbiamo il wifi, il telefono prende dove e quando gli pare, la biblioteca dove mi rifugerei è ovviamente chiusa e, soprattutto, tutta la mia vita è a Budapest. Sono dipendente dall'attività fisica, quindi per me leggere che le palestre sono chiuse, quando già alcune attività non posso svolgerle a casa dell'operazione agli occhi equivale a un mezzo dramma. Ciononostante, e questa non è un'opinione, non ci sono scelte in questo momento e rispetto la scelta del mio Paese. Forse, se compilassi un'autocertificazione, le mie motivazioni verrebbero considerate valide: di fatto io viaggerei per lavoro.
Tuttavia. Se si fa una cosa, la si fa per bene e tutti insieme. Quindi, un piccolo anfratto di me si sente più a posto ad essere qui, adesso, con la mia famiglia, piuttosto che altrove, dove avrei un poco del mio lavoro da guida turistica, i miei vestiti, tutte le palestre aperte, i café dove andare a scrivere e gli amici. State a casa è un comando difficile da interpretare, quando di case se ne hanno due. Io per ora, sto col mio Paese.
Ognuno trovi il suo sfogo. Il mio è scrivere, quindi mi attaccherò...a quello.

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