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Giorno 4: sulla stampa internazionale si osserva come noi italiani sappiamo affrontare con spirito uno stato d'emergenza. Diramato sui social media, un flashmob ha portato tanti cittadini a cantare e suonare in terrazza, l'unico posto dove si può andare senza compilare un modulo. A Grosseto, all'orario fissato, non ho sentito niente, di niente, di niente.
Giorno 4: sulla stampa internazionale si osserva come noi italiani sappiamo affrontare con spirito uno stato d'emergenza. Diramato sui social media, un flashmob ha portato tanti cittadini a cantare e suonare in terrazza, l'unico posto dove si può andare senza compilare un modulo. A Grosseto, all'orario fissato, non ho sentito niente, di niente, di niente.
La mia via è deserta, giacchè di solito è piena di gente e macchine in doppia fila solo a causa della pasticceria accanto al mio portone, una delle più amate dai grossetani: a bar chiusi, manco chi porta i cani a fare pipì, passa di qui. Diciamo che non è proprio la patria della solidarietà, ma forse sono troppo critica. Stamani ho compilato un altro modulo e sono andata prima alla Posta e poi a comprare patate, mele e altra
roba.
roba.
Alla Posta mi sono recata per necessità e non certo per piacere, so che qualcuno ha questa perversione, ma io odio le code e la burocrazia mi annoia terribilmente. Sono aperte, credo, solo le Poste Centrali e occorre aspettare fuori, sulle scale del bel palazzo fascista (si può usare questa parola?), a distanza l’uno dall’altro, sorbendosi i litigi tra le signore e gli altri astanti, diversi dei quali stranieri, informazione che riporto per dovere di cronaca. I litigi mi fanno rimbombare la testa, per cui mi astraggo, penso al mare e ai fatti miei. Dopo qualche minuto di attesa, riemergo dalla meditazione e mi accorgo dello sguardo minaccioso della signora bionda davanti a me, che mi fissa da dietro la sua mascherina e aggrappandosi al suo cagnolino incappottato di rosso nonostante i 16 gradi odierni. Le sorrido, lei rinforza il ghigno. Sbrigata l’incombenza, mi affretto al supermercato quando, nella via dietro di casa per evitare i viali dove magari potresti temere di incontrare qualcuno, anche se non accadrebbe, un signore mi urla “Resta in casa”. Lo ignoro, ma mi infastidisce alquanto. A ben vedere, il dritto è fuori a sua volta. Tra l’altro il suo grido mi ha spaventato e distratto, tanto che ho messo l’anfibio sul relitto della cena di un cagnolino, chissà forse quello col cappottino rosso di quella signora bionda tanto cordiale fuori dalla Posta. Per ripulirmi le scarpe dal rifiuto organico, mi intrattengo nei pressi di un albero. Tanto basta perché altri due signori anziani si interessino a me e mi sgridino “Vai a casa”. In teoria, carissimi signori anziani, a casa dovreste starci sopratutto voi. Anche io, e ci sto, esco per sanità mentale e perché sono la più giovane in casa mia. Tra l'altro ho il modulo, mi ha detto la polizia che posso fare anche una passeggiata o una corsa, col modulo, nessuno ci chiede di prendere gli ansiolitici restando più reclusi dei carcerati. L'ora d'aria è un diritto, punto.
Ora, fermiamoci un attimo a guardare il mio modulo. Sopra ci sono tutti i miei dati, tutti: nome, età, indirizzo e numero di telefono. Sapete cosa è successo al mio foglietto? L'ho perso.
Me ne sono accorta appena rientrata in casa. "Trovalo" mi ha detto mia mamma, mentre a me saliva già tutta l'ansia di avere i miei dati in giro, una constatazione che, per qualche motivo, mi rende più paranoica di quanto non possa fare un qualsiasi virus, con tutto il rispetto per Re Corona. Scendo, in pantafole, per vostra informazione, e mentre ripercorro i miei passi, fantastico su un eventuale conversazione con la Polizia. Avrei dovuto compilare un altro modulo, scriverci che dichiaro di essere fuori per cercare il modulo che ho perso. Mentre mi sollazzo, un signore mi chiama, facendomi cenno di non avvicinarmi. Sei Claudia? Sì, grazie. Ha i guanti, non so chi sia, ma mi allunga il mio modulo con tutti i miei preziosissimi dati. Adesso, se mi fermasse la polizia, potrei mostrare il modulo e penserebbero "questa va a fare la spesa in pantafole?". Sorrido, quello dell'uscire in ciabatte è rimasto nella memoria familiare come il mio capriccio d'infanzia più folle. A tre anni costrinsi mia nonna a farmi uscire, con la neve, indossando delle bellissime ciabatte nuove, che mi rifiutavo di togliere. Già da allora, nessuno poteva permettersi di dirmi cosa fare.
Tornando a questa mattina, mentre rincasavo col modulo è passata una delle volanti col disco del sindaco che ripete “Restate in casa”, in uno scenario da guerra mondiale che, lo ammetto, per qualche secondo mi terrorizza e fa sentire male.
Cerco di nuovo la via di casa su una strada ancora più secondaria, dei cani attaccano ad abbaiare furiosi. Un cartello degno di nota segnala “Attenzione, cani sciolti” e d’un tratto il Corona virus non mi fa più paura!
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