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DAY 2 - Un'Italia senza bar / / An Italy with no bars


Ho aspettato la nuova diretta del Primo Ministro per scrivere questo trafiletto. Le misure sono state inasprite e l'annuncio più evidente mi pare quello che mette in pausa l'icona del nostro Paese. Da domani chiuderanno i bar. Cosa mi manca, abitando all'estero, quasi quanto il mare? Il sacrosanto caffè in piedi, trincato in tempo record per assicurare la prosecuzione o l'inizio della giornata. Tanto importanti da essere ritenuti "servizio pubblico", i bar sono la quintessenza dell'essere italiani, non avendo un equivalente all'estero. Sono d'accordo, non mi fraintendete. In questi giorni in cui per caso mi trovo in Italia, sono andata al bar solo dopo l'operazione agli occhi, quando mi è stato offerto un caffè e già dovevamo rispettare i criteri di distanza, inclusi i tavolini alternati.
Per me è difficile stare in casa, sono abituata a stare fuori anche per dedicarmi ad attività considerate sedentarie, come leggere e scrivere. Scrivo bene sui tram, nelle situazioni precarie, nei cafè. E per leggere mi serve di stare in movimento, camminare. Mi dispiace per la signora del piano di sotto, che in questi giorni si deve sorbire le mie cavalcate letterarie a notte fonda e gli allenamenti in camera di giorno. Ho notato una certa avversità, quando l'ho salutata sulle scale, questa mattina. Magari era solo demoralizzata.
Per fortuna quelli di sopra sono malati di spostologia e compulsivamente riorganizzano i mobili, o così sembra dai rumori che sentiamo in tutto il palazzo.
Oltre ai bar, da domani serrande abbassate per i negozi, inclusi parrucchieri e centri estetici. Restano aperti supermercati, farmacie, alimentari, tabaccai, edicole e benzinai. Continuano i cantieri, possono lavorare gli idraulici e resta permessa la consegna a domicilio. Una frase rassicurante, Conte l'ha detta: tenete duro per 15 giorni. Ecco, che ci sia un orizzonte temporale, lo trovo confortante. Possiamo fare un conto alla rovescia e anche una lista di obiettivi, per impegnare questo tempo al meglio.
Tempo. Ci lamentiamo spesso di non averne abbastanza e questo dramma ce lo consegna. Ci toglie tuttavia lo spazio e il contatto, quello reale.
Oggi la mia vita è stata interessata anche da altre decisioni, quelle del Paese in cui vivo, l'Ungheria. L'Ungheria che oggi ha dichiarato lo Stato d'Emergenza e ha preso delle misure, tra cui quella di vietare gli ingressi da una serie di nazioni, prima tra tutte l'Italia, che per prossimità geografica ne porta sempre tanti, di ingressi. Siamo tutti sulla stessa barca, penso io, e mi stupisco di vedere che negli altri stati UE si possa fare quasi tutto, mentre in Italia quasi niente, se non tra le proprie quattro mura e chissà cosa fa chi la casa non ce l'ha. L'Ungheria vieta gli assembramenti da oltre 100 persone al chiuso e da oltre 500 all'aperto. Mi chiedo se ci sia una dimostrazione che se 99 persone stanno in uno spazio chiuso e una è positiva al COVID-19 non sussiste rischio di contagio. Temo di no e temo che queste norme non siano sufficiente. Anche se, chiaramente, me lo auguro, che l'Italia stia esagerando.
In Ungheria dall'Italia non si entra, neanche con la residenza. Avevo già deciso di non tentare follie tipo rientrare in macchina, o con ciò che resta dell'Alitalia. Un conto, tuttavia, è decidere cosa si ritiene più corretto per collaborare, un altro è leggere che a casa tornarci non si può. Che non sei più il benvenuto.
Inquietante, non sapere quando si potrà tornare a casa, non sapere cosa rispondere a tutti quelli che lo chiedono, che involontariamente pressano, per un motivo o per l'altro.
Potrei dire che questo è stato il "P Day", dato che finalmente possiamo chiamarla Pandemia, ma per prenderla con almeno un goccio, non di caffè, ma di leggerezza chiudo così:
domani inizia una nuova fase storica, quella dell'Italia senza i bar.

***
DAY 2
Grosseto, Tuscany

I waited for tonight's ItalianPrime Minister's live stream to write today's entry.
The measures to face current COVID19 emergency have been tightened and the most eye catching announcement seems to me to pause pressed on the icon of my country, Italy. The bars will stay closed, from tomorrow. What do I miss, living abroad, almost as much as the sea? The sacred coffee while standing at the bar, swilled in two seconds to ensure the continuation or the beginning of the day. So important as to be considered "public service", bars are the quintessence of being Italian, not having an equivalent abroad.
I agree on this decision, don't get me wrong. In these days when I happen to be in Italy, I went to the bar only after the eye surgery I came for, when I was offered a coffee and we already had to respect the distance criteria, including alternate tables.

I'm a free spirit. Even normally, it is difficult for me to stay at home, I am used to being outside also to devote myself to activities considered sedentary, such as reading and writing. I write well on trams, in precarious situations, in cafes. And to read I need to be in motion, to walk. I'm sorry for the lady on the floor below, who has to put up with my literary rides late at night and my home training in my bedroom above hers, during the day. I noticed some adversity when I greeted her on the stairs this morning. Maybe she was just demoralised. Fortunately, those upstairs seem to be affected by "rearrangiopathy" and compulsively move around the furniture, or so it sounds like from the noises we hear throughout the building. In addition to the bars, from tomorrow lowered shutters for shops, including hairdressers and beauty centers. Supermarkets, pharmacies, food shops, tobacconists, newsagents and petrol stations remain open. Construction sites continue, plumbers can work and home delivery is allowed. A reassuring phrase, Conte said it: hold on for 15 days. Here, that there is a time horizon, I find it comforting. We can do a countdown and also a list of objectives, to commit this time to the best.

Time. We often complain of not having enough time and this drama gives it to us. In exchange, it takes away space and contact, the real one. Today my life has also been affected by other decisions, those of the country where I live, Hungary. The Hungary which today declared the State of Emergency and has taken measures, including that of prohibiting incomings from a series of nations, first of all Italy, which, due to geographical proximity, always brings many people to Budapest. We are all on the same boat, I think, and I am amazed to see that in the other EU states almost everything can be done, while in Italy almost nothing, if not within its own four walls and who knows what are doing those, who do not have a house. Hungary prohibits gatherings of over 100 people indoors and over 500 people outdoors. I wonder if there is a demonstration that if 99 people are in an enclosed space and one is positive for COVID-19 there is no risk of contamination.
I fear that these rules are not enough. Although, of course, I hope so, that Italy is exaggerating.
You cannot enter Hungary from Italy, even with a proper residence. Even if, I read in the comments to this post, if your husband of wife is there. I had already decided not to try follies like getting back in the car, or with what remains of Alitalia. It is one thing, however, to decide for what you consider the most correct way to collaborate, another is to read that you cannot go home. That you are no longer welcome. Disturbing, not knowing when you'll be free to go home, not knowing what to answer to all those who ask, who unwittingly press, for one reason or another.

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