Passa ai contenuti principali

Day 6: My mum thinks I am sick // Mia mamma teme che sia ammalata

(scroll for English)

Giorno 6: mia mamma teme che io mi sia ammalata. Verso le 15 di oggi è entrata in salotto e mi ha vista stirare. Era successo solo nel 2004, quando mia nonna ha voluto verificare se ero davvero fisicamente impossibilitata come sostenevo. La nonna concluse che in effetti era meglio che restassi ad almeno un metro da tutti i ferri da stiro e io, manco glielo avessi promesso, ho seguito il suggerimento giorno dopo giorno. "Che cosa...che cosa stai facendo, Claudia?". Come in tutte le migliori famiglie, il nome pronunciato per intero è segno di guai. O sintomo di grande preoccupazione. "Stiro!" ho risposto alla mia santa mamma, che, pur abituata a tutto, non era pronto a questo. "Guglielmo..." fa mia mamma, che quando sta per crollare cerca sostegno in mio padre. Il quale sta cercando di elaborare il lutto per tutte le partite che non si disputeranno per motivi di contenimento, e le fa molto caso.
"Io...sì, vedo che stiri - farfuglia la mamma - ...Tu...perché?". L'ho fatta sedere, le ho versato un bicchiere d'acqua e promesso di non farlo mai più.
Il fatto è che tutti esortano a usare bene questo tempo, a curare l'ansia dedicandosi a quelle attività che non trovano spazio nella nostra vita quotidiana. Ho pensato che allora, forse, anche per me fosse giunto il momento di stirare. Che una volta passata un'ora a passare un ferro caldo su degli abiti che non avrò occasione di indossare per chissà quanto tempo, avrei avuto qualche grande rivelazione, o l'idea per un best seller. "Allora stira queste". Con lo spirito di adattamento in dotazione a tutte le madri, la mamma ha prodotto una pila di camicie e lenzuola. Alla seconda manica mi sono accorta di aver sviluppato un principio di organi riproduttivi maschili e, indossando i leggins, ho pensato di smettere prima che il mio aspetto diventasse imbarazzante. Sono andata ad allenarmi in camera e mia madre può dormire sogni tranquilli: probabilmente non stirerò mai più. Ho sperato che la sua mania per l'ordine fosse contagiosa, ma, no, questo periodo di quarantena, non mi ha portata a scoprire alcun talento domestico.
Ah, comunque noi, a Grosseto, abbiamo un tizio che gira per la città a cavallo. In effetti, penso che se hai un cavallo in casa, per fargli fare i bisogni devi per forza portarlo fuori.
In questo trafiletto ho scelto di usare parole che associamo a quest'emergenza, senza però parlare di ciò che ci tiene blindati in casa. Nella foto: effetti della quarantena in Toscana.

***

Day 6: my mom is afraid that i am sick. At about 3pm today, she entered the living room and saw me iron. It only happened in 2004, when my grandmother wanted to check if I was really physically impossible as I claimed. Grandma concluded that in fact it was better that I stay at least one meter from all the irons and I, as I promised, I followed the suggestion day after day. "What ... what are you doing, Claudia?". As in all the best families, the full name is a sign of trouble. Or a symptom of great concern. "Ironing!" I replied to my holy mother, who, although accustomed to everything, was not ready for this. "Guglielmo ..." says my mother, who, when she is about to collapse, seeks support from my father. Who is trying to process the mourning for all the games that will not be played for containment reasons, and makes a lot of attention. "I ... yes, I see that you iron - your mother mumbles - ... You ... why?". I sat her down, poured her a glass of water and promised never to do it again. The fact is that everyone urges us to use this time well, to treat anxiety by dedicating ourselves to those activities that find no place in our daily lives. I thought then, perhaps, it was time for me to iron too. That once I spent an hour passing a hot iron on clothes that I will not have the opportunity to wear for who knows how long, I would have had some great revelation, or the idea for a best seller. "Then iron these." With the spirit of adaptation provided to all mothers, mom produced a pile of shirts and sheets. On the second sleeve I realized that I had developed a principle of male reproductive organs and, wearing leggings, I thought about quitting before my appearance became embarrassing. I went to train in my room and my mother can sleep in peaceful dreams: I will probably never iron again. I hoped his mania for order was contagious, but, no, this quarantine period didn't lead me to discover any domestic talent. Ah, however, we in Grosseto have a guy who rides the city on horseback. In fact, I think that if you have a horse in the house, to make him do the needs you must necessarily take him out. In this short article I chose to use words that we associate with this emergency, without speaking of what keeps us armored in the house. In the photo: effects of the quarantine in Tuscany.

Commenti

Post popolari in questo blog

I figli e i nipoti di "Papa" Hemingway

A volte mentre leggo i capolavori dei grandi del secolo scorso, mi chiedo come se la passi la loro progenie. Certi talenti potrebbero anche essere genetici e forse un giorno ci troveremo tra le mani un bel romanzo di avventura firmato dal pronipote di Bulgakov o vedremo in classifica i nomi Kipling e Orwell . Di nuovo. Del resto, se fossi la discendente di Juri Gagarin, m’interesserei di astronomia e se invece tra miei avi ci fosse stato, mettiamo, Temistocle , non avrei accantonato la matematica alle prime difficoltà liceali. La storia familiare può anche non influenzarci, ma tende a farlo quando i nomi che ci hanno preceduto sono altisonanti. Per questo mi è sembrata un’idea carina quella di fare una piccola ricerca sugli eredi degli scrittori più amati del secolo breve (che, lo ricordo per chi non lo sapesse, fu chiamato così guardando alle svolte epocali della storia, ritenendo che l’Ottocento fosse il secolo lungo in quanto è iniziato nel 1789 con la Rivoluzione Franc

COME DISEGNARE UN CERCHIO COL COMPASSO

Vorrei saper disegnare. Vorrei saper disegnare qualcosa di più di un cerchio col compasso. Non nel senso che vorrei imparare a disegnarci i quadrati e nemmeno le peonie o la caricatura di Dante, con il compasso. Anzi, per essere precisi non vorrei imparare, vorrei proprio saper disegnare, punto. Anzi, non punto: saper disegnare….qualcosa di più di un cerchio con il compasso. Sia chiaro, non che io aspiri a disegnare dei tondi felici mentre scorrazzano con i loro compassi al guinzaglio, anche se in questo ci vedo un parallelo con il nostro ammaestrare la natura che ci ha creato, o dio. Oddio, ma di che parlo. Vorrei essere capace di disegnare, ma non un cerchio perfetto, da volteggio di compasso. E nemmeno vorrei essere capace di disegnare un cerchio perfetto senza compasso, perché allora mi direbbero: "di cognome fai Giotto!". Se mi chiamassi Giotto di cognome, però, il mio nome sarebbe "Uhm", che è come di solito chiamiamo Giotto, se interpellati sul suo nome d

Tartacronaca Nr.5 - La pianta milanese della felicità

Supermercato, ore 21.50. Cassiera a ragazzo, lui ha appena comprato una pianta: "E' un ficus, la pianta della felicità, vero?" Ragazzo, con espressione assente e seccata: "E' una pianta da appartamento." (Cassiera perde quel briciolo di autostima che le aveva dato il coraggio di tentare una mezza conversazione al termine di un turno massacrante.)  Mi è venuta la tentazione di avvicinarmi e guardarlo con un monocolo immaginario come se fosse un'opera d'arte di rara bellezza , per poi dirgli: "Semplice, essenziale: sei tu. TU SEI MILANO!". Sarebbe stato da portarlo a Rimini dentro a quel parco con la riduzione in scala delle città italiane e metterlo al posto del duomo di Milano che riempirebbe a meraviglia quel brutto spazio vuoto in camera mia (oltre a diventare un bersaglio perfetto per una serie di giochi da tiro). Il giovanotto avrei potuto lasciarlo lì per i padri etnologi dei bambini costretti ad amare la geografia, ins