Passa ai contenuti principali

Day 12: the Trip

Giorno 12: siamo al picco, diventa molto difficile alleggerire gli animi, ma resta quello il mio scopo. Di buon mattino - il buon mattino in quarantena è comunque tardi - ho fatto la mia corsetta a prova di rompiscatole e sicura, sul tetto. Poi yoga, doccia e via con una giornata diversa. Sono dovuta partire in macchina per fare il controllo agli occhi. Dopo che ho cercato più volte di annullare e dopo aver posticipato due volte, il dottore me lo ha imposto e una telefonata alla Protezione Civile mi ha confermato che potevo andare. 350 km tra andata e ritorno e posso rassicurarvi: la Tirrenica sembra il deserto del Gobi. Le code sulla Fi-Pi-Li sono una questione risolta! I miei occhi stanno recuperando alla perfezione, immagino che la quarantena giovi alla cosa almeno quanto giova alla viabilità. I conduttori dei notiziari radio sulle strade recitano il rosario, così come quelli dei programmi sportivi. Riarrivata a Grosseto ho fatto una lunga passeggiata, sempre sul tetto. Poi un allenamento, ma in camera. Approdando nella stanza della conoscenza, ovvero la sala, ho notato una certa ostinazione da parte di mio padre a impedirmi di vedere le notizie. Pareva i figli di quella signora in Goodbye Lenin. Appena ho incontrato mia mamma - che era a stirare visto che io non lo faccio - mi fa: "Hai visto di Maldini? Il babbo dice che è meglio se non senti, perchè ci staresti male, ma io non reggo niente". Ed è vero, mia mamma non regge nemmeno il semolino. E Maldini è positivo e a quanto pare tutta la famiglia era a conoscenza dei miei quaderni segreti tutti dedicati a lui (glieli avrei donati il giorno del matrimonio). Nel frattempo il nostro Primo Ministro rivoluziona ulteriormente l'idea di sabato sera all'italiana con una diretta che sfiora la mezzanotte. Tranquilli, non ha chiuso i supermercati.

Commenti

Post popolari in questo blog

I figli e i nipoti di "Papa" Hemingway

A volte mentre leggo i capolavori dei grandi del secolo scorso, mi chiedo come se la passi la loro progenie. Certi talenti potrebbero anche essere genetici e forse un giorno ci troveremo tra le mani un bel romanzo di avventura firmato dal pronipote di Bulgakov o vedremo in classifica i nomi Kipling e Orwell . Di nuovo. Del resto, se fossi la discendente di Juri Gagarin, m’interesserei di astronomia e se invece tra miei avi ci fosse stato, mettiamo, Temistocle , non avrei accantonato la matematica alle prime difficoltà liceali. La storia familiare può anche non influenzarci, ma tende a farlo quando i nomi che ci hanno preceduto sono altisonanti. Per questo mi è sembrata un’idea carina quella di fare una piccola ricerca sugli eredi degli scrittori più amati del secolo breve (che, lo ricordo per chi non lo sapesse, fu chiamato così guardando alle svolte epocali della storia, ritenendo che l’Ottocento fosse il secolo lungo in quanto è iniziato nel 1789 con la Rivoluzione Franc

COME DISEGNARE UN CERCHIO COL COMPASSO

Vorrei saper disegnare. Vorrei saper disegnare qualcosa di più di un cerchio col compasso. Non nel senso che vorrei imparare a disegnarci i quadrati e nemmeno le peonie o la caricatura di Dante, con il compasso. Anzi, per essere precisi non vorrei imparare, vorrei proprio saper disegnare, punto. Anzi, non punto: saper disegnare….qualcosa di più di un cerchio con il compasso. Sia chiaro, non che io aspiri a disegnare dei tondi felici mentre scorrazzano con i loro compassi al guinzaglio, anche se in questo ci vedo un parallelo con il nostro ammaestrare la natura che ci ha creato, o dio. Oddio, ma di che parlo. Vorrei essere capace di disegnare, ma non un cerchio perfetto, da volteggio di compasso. E nemmeno vorrei essere capace di disegnare un cerchio perfetto senza compasso, perché allora mi direbbero: "di cognome fai Giotto!". Se mi chiamassi Giotto di cognome, però, il mio nome sarebbe "Uhm", che è come di solito chiamiamo Giotto, se interpellati sul suo nome d

Tartacronaca Nr.5 - La pianta milanese della felicità

Supermercato, ore 21.50. Cassiera a ragazzo, lui ha appena comprato una pianta: "E' un ficus, la pianta della felicità, vero?" Ragazzo, con espressione assente e seccata: "E' una pianta da appartamento." (Cassiera perde quel briciolo di autostima che le aveva dato il coraggio di tentare una mezza conversazione al termine di un turno massacrante.)  Mi è venuta la tentazione di avvicinarmi e guardarlo con un monocolo immaginario come se fosse un'opera d'arte di rara bellezza , per poi dirgli: "Semplice, essenziale: sei tu. TU SEI MILANO!". Sarebbe stato da portarlo a Rimini dentro a quel parco con la riduzione in scala delle città italiane e metterlo al posto del duomo di Milano che riempirebbe a meraviglia quel brutto spazio vuoto in camera mia (oltre a diventare un bersaglio perfetto per una serie di giochi da tiro). Il giovanotto avrei potuto lasciarlo lì per i padri etnologi dei bambini costretti ad amare la geografia, ins