Passa ai contenuti principali

E dopo che è finito l'infinito che si fa?


Questo mese, anzi, il mese scorso, e questo post fa ben sperare se già mi sono contraddetta da sola dopo tre parole e due virgole, il mese scorso ho deciso di fare una di quelle cose che puoi raccontare quando ti chiedono cosa hai fatto di bello ad agosto. No, non parlo di vacanze, quelle non le racconti, le ostenti rispolverando una macchina fotografica anti-digitalizzazione totale (il cataclisma artificiale che negli ultimi due decenni ha colpito tutto, persino le lavatrici che ora vantano display LCD retroilluminati che ti fanno finanche le faccine, anche se tuttora non ti avvertono se metti un calzino rosso nel bucato bianco) e scattando, con quel vecchio ma affidabile congegno, milioni di bellissime diapositive* da somministrare a un gruppo di amici che hanno ingenuamente accettato un invito a casa per cena, ormai dimentichi della vecchia regola "mai accettare gli inviti a cena a casa di amici nel mese di settembre o comunque dopo che sono stati in viaggio", in disuso da qualche anno o almeno da quando le foto si mettono su Facebook invece di mostrarle sullo schermo del pc come è stato di moda per un periodo abbastanza breve dopo la morte delle "dia" (abbreviazione della stessa cosa che NON spiego nella nota*) (curioso come un'abbreviazione possa allungare un discorso che già si è perso nelle dispersioni).
Il quindici agosto mi sono messa a leggere Infinite Jest di David Foster Wallace, cercate su Google se non sapete di cosa parlo. In sintesi, e chiedo scusa alla sintesi per aver io, brodo umano, aver profanato il nome suo, ho deciso di allenare la muscolatura delle mie braccia portando per qualche settimana a spasso sui mezzi di trasporto di Budapest un tomo di circa 1400 pagine, di cui le ultime 200 sono solo note e tale precisazione non ha rilievo alcuno,  ma mi sono abituata a ripeterla in queste settimane. Settimane in cui, evento evento, delle persone mi hanno rivolto la parola. Citerò solo la prima, la memorabile signora ungherese che, nostalgica della sua gioventù lontana, vedendomi a prendere il sole con il gran tomo, mi ha chiesto se a quindici anni davvero ero in grado di capire un autore tanto complicato. Ho aspettato almeno un quarto d'ora per informarla circa la mia reale età e le ho fatto costruire un piccolo monumento nelle piscine all'aperto dove ci siamo conosciute, quel glorioso diciassette agosto in cui parvi quindicenne e ne gioii. Devo constatare che un volume tanto alto, sfoderato con la giusta, e finta, nonchalance, attira più occhiate (e non mi riferisco agli omonimi pesciolini) di un boa di struzzo. Non che abbia mai provato a girare con un simile orpello, cercavo un termine di paragone e la mia memoria fotografica ha prodotto l'immagine di un boa, visto che dove vivo li vendono nei baracchini dei fiori, forse va di moda metterli sulle tombe di certe dame d'altri tempi in memoria di certi lor costumi. Sono una lettrice veloce e avrei finito il romanzo da giorni, non fosse che ho paura. Giunta alla millenovantatreesima pagina sono sorte martellanti le domande e inquietanti i dubbi. Cose tipo: cosa farò dopo, mi sentirò sola, non mi parlerà più nessuno e anche se qualcuno lo facesse cosa avrei da dire, con quale oggetto potrei difendermi in caso di aggressione, le braccia mi diventeranno flaccide senza il sollevamento di Infinite Jest tutte le mattine e, soprattutto, mi sono resa conto di non ricordarmi più quali fossero i miei obiettivi nella vita prima di dare la priorità a quello di finire tale romanzo.

Questa notte ho procrastinato la lettura di pagine che inevitabilmente avvicinerebbero la fine scrivendo del mio terror finis. Forse scatterò delle foto di me che leggo Infinite Jest, le svilupperò in diapositiva e le proietterò davanti a una platea di sconosciuti, ché se avessi degli amici credo che ad agosto non avrei letto Infinite Jest.

*metto in conto che tu, simpatico lettore, potresti essere nato troppo tardi per aver sentito questa parola. Con la presente nota pensavo di ragguagliarti su cosa sono le diapositive, ma in fondo se stai temporeggiando su questo blog sono alte le probabilità che finirai per iscriverti a Scienze della Comunicazione e lì studierai non la storia degli uomini, non la geografia dei continenti, non il corpo umano, ma la storia dei media, la mappa dell'influenza dei media sui gruppi sociali e l'impatto dei media sulla mente umana, quindi ti risparmio. Scoprirai anche cosa erano i tamagotchi, che credo siano stati vissuti solo dai nati tra l'85 e il '90.  Poi danno la colpa alla generazione X se la mia (generazione) è disoccupata.

Commenti

Post popolari in questo blog

I figli e i nipoti di "Papa" Hemingway

A volte mentre leggo i capolavori dei grandi del secolo scorso, mi chiedo come se la passi la loro progenie. Certi talenti potrebbero anche essere genetici e forse un giorno ci troveremo tra le mani un bel romanzo di avventura firmato dal pronipote di Bulgakov o vedremo in classifica i nomi Kipling e Orwell . Di nuovo. Del resto, se fossi la discendente di Juri Gagarin, m’interesserei di astronomia e se invece tra miei avi ci fosse stato, mettiamo, Temistocle , non avrei accantonato la matematica alle prime difficoltà liceali. La storia familiare può anche non influenzarci, ma tende a farlo quando i nomi che ci hanno preceduto sono altisonanti. Per questo mi è sembrata un’idea carina quella di fare una piccola ricerca sugli eredi degli scrittori più amati del secolo breve (che, lo ricordo per chi non lo sapesse, fu chiamato così guardando alle svolte epocali della storia, ritenendo che l’Ottocento fosse il secolo lungo in quanto è iniziato nel 1789 con la Rivoluzione Franc

COME DISEGNARE UN CERCHIO COL COMPASSO

Vorrei saper disegnare. Vorrei saper disegnare qualcosa di più di un cerchio col compasso. Non nel senso che vorrei imparare a disegnarci i quadrati e nemmeno le peonie o la caricatura di Dante, con il compasso. Anzi, per essere precisi non vorrei imparare, vorrei proprio saper disegnare, punto. Anzi, non punto: saper disegnare….qualcosa di più di un cerchio con il compasso. Sia chiaro, non che io aspiri a disegnare dei tondi felici mentre scorrazzano con i loro compassi al guinzaglio, anche se in questo ci vedo un parallelo con il nostro ammaestrare la natura che ci ha creato, o dio. Oddio, ma di che parlo. Vorrei essere capace di disegnare, ma non un cerchio perfetto, da volteggio di compasso. E nemmeno vorrei essere capace di disegnare un cerchio perfetto senza compasso, perché allora mi direbbero: "di cognome fai Giotto!". Se mi chiamassi Giotto di cognome, però, il mio nome sarebbe "Uhm", che è come di solito chiamiamo Giotto, se interpellati sul suo nome d

Tartacronaca Nr.5 - La pianta milanese della felicità

Supermercato, ore 21.50. Cassiera a ragazzo, lui ha appena comprato una pianta: "E' un ficus, la pianta della felicità, vero?" Ragazzo, con espressione assente e seccata: "E' una pianta da appartamento." (Cassiera perde quel briciolo di autostima che le aveva dato il coraggio di tentare una mezza conversazione al termine di un turno massacrante.)  Mi è venuta la tentazione di avvicinarmi e guardarlo con un monocolo immaginario come se fosse un'opera d'arte di rara bellezza , per poi dirgli: "Semplice, essenziale: sei tu. TU SEI MILANO!". Sarebbe stato da portarlo a Rimini dentro a quel parco con la riduzione in scala delle città italiane e metterlo al posto del duomo di Milano che riempirebbe a meraviglia quel brutto spazio vuoto in camera mia (oltre a diventare un bersaglio perfetto per una serie di giochi da tiro). Il giovanotto avrei potuto lasciarlo lì per i padri etnologi dei bambini costretti ad amare la geografia, ins