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Visualizzazione dei post da 2014

Il Papa con il telecomando in mano

Sta cambiando tutto, lo sa anche il mio palazzo. Quest’anno hanno messo una decorazione di Natale su una delle due scalinate. Sull'altra non so, perché non la uso, è dall'altro lato del cortile e ad andarci ho paura che mi prendano per un ladro e mi sparino. L’addobbo natalizio sulle scale di casa mia è una meraviglia. Le riviste femminili in Ungheria hanno una caratteristica unica: sono in ungherese. Ne consegue che io non le capisca bene, ma sono sicura che per quest’inverno abbiano scritto che vanno di moda il rosa antico e il secco e che sia questo il motivo di quella croccante ghirlanda marrone sbiadito comparsa sul mio mezzanino. Nessuno affitta i pianerottoli in Ungheria e neanche nel resto del mondo, ma io ogni tanto ci lascio cadere delle monete e poi non le ritrovo, quindi avanzo pretese di possesso.  Lo sento mio la mattina, se sono l’unica sveglia nel palazzo e mi fermo lì nella tromba, delle scale. Preparo i muscoli alla corsa pensando a quando tutto questo crolle

Caro Dr. Trauma, ho 23 anni e da grande volevo fare la scienziata

Spettabile Dottor Trauma,  le scrivo dopo tanti anni che seguo la sua rubrica "Sogno o son lesso?" per chiederle un consiglio sul mio futuro: vorrei che mi facesse capire cosa voglio fare della mia vita, ecco. Posso dirle che ho 23 anni e da grande volevo fare la scienziata.  Questo era il mio sogno da quando andavo alle superiori, ma poi, ieri, ci ho ripensato: voglio fare la donna delle pulizie. Mi rendo conto di essere solo adesso consapevole abbastanza da sapere davvero cosa voglio fare da grande, che, non sembra ma è una cosa grande e ce la chiedono solo quando siamo piccoli.  A calcolarla in base agli standard di Maastricht, infatti, l'età migliore per porre questa domanda è compresa tra i 3 e mezzo e i 5 anni.  Porla prima falsa le statistiche (che la “Porla Falsa” sia una pianta velenosa?): l’ottanta per cento del campione risponde “Nghé”, andando così ad influenzare i piani industriali delle aziende di fazzoletti, giacché se il nuovo sogno europe

Qualcosa non va, cara?

Pare non sia sempre colpa delle città, quando senti che qualcosa non va. Lo dicevo l'altro giorno a Rognone, un amico mio sempre un po' melanconico. Nella vita ci sono talmente tanti aspetti da valutare, ovunque tu sia, che ci saranno sempre delle cose che vanno bene e altre che vanno male o che non vanno affatto.  Anche se vivessimo in un palazzo d’oro, tra stanze senza pareti,  separate invece da veri alberi con i rami e tutto, le cui sale conciliano la bellezza del mare e la frescura dei boschi di montagna. Pure se a colazione, nella nostra dimora dorata, ci dessero il miglior caffè brasiliano, un brasiliano (ma che scrivo) e una ciotola di fragole cresciute al sole e se in aggiunta dormissimo tra lenzuola di seta leggera sempre fresche di bucato, se sotto casa nostra ci fossero il mare, un lago, un fiume e un'Esselunga: uno per nuotare, l’altro per incanalare la malinconia, il terzo per abbellire la tenuta nel complesso o corrervi vicino, l'ultima perché va

Ecco perché trovi dappertutto il nome di quello/a che ti piace e vuoi dimenticare (o le altre parole che ti ossessionano)

"A me per esser stato contumace di non voler Agria veder nè Buda che si ritoglia il suo sì non mi spiace" Ludovico Ariosto, Satire (Satira I, v. 127-129) "Lavali ancora un po', c'è ancora un po' di polpa attaccata alle bucce" "Come scusa?" Luisa, una capigliatura tra le più belle, gli occhi dolci di un micio al buio, la simpatia di una clavicola rotta. "Dico che se ti serve il lavandino fino a mezzogiorno va bene, non sono in ufficio per lavorare, mi piace ammirarti mentre spappoli i mirtilli". "Oh, come sei complicato!" Torto non possono dargliene e d'altronde chi se ne frega di pulire la tazzina del caffè. La deposito su un mobile qualunque e torno alla scrivania, lasciando la mia sveglia collega a macerare la frutta per nutrire il condotto dell'acqua. Mi siedo, riprendo il lavoro da dove lo avevo lasciato: 4500 punti all'ultimo gioco di sopravvivenza. Gareggio contro Gabriele, il mio amico di sempr

Ti amo da zappare

E vabbé insomma ti amo, ora scusa ma ho da andare alla posta, mi chiude tra mezz’ora. Ti amo, non ho bisogno di una trama per raccontartelo. Bella questa, ce ne fossero di panzane così nei cioccolatini! Ti amo virgola, la virgola ci sta bene, basta ci sia un verbo prima e amare è un verbo, a meno che non si parli delle ciliegie.   Tutti lì che amano, amano, amano e nessuno sa che vuol dire (amore, a-ciliegie, amore, amaroni, ti amo anche ad Afragola). “Ciao che fai?” “Amo. Sto amando, non vedi?” “Sì, diciamo di sì, mi fai il pieno, intanto che ami, per favore?” Un poco strano, ma alla fine non è che se ti chiedo “che fai” e mi rispondi “menziono” è tanto più normale, quindi dai accettiamolo, amare, un verbo, un’azione, un percorso. Anzi, facciamo di più, mettiamolo nero su bianco, tutti, dalla nascita. “Buongiorno, lei come si chiama? Nghé anche lei, come quello di prima? Va bene, si vede che va di moda. Intende donare gli organi quando sarà l’ora? E l’amore lei come lo intende?”

Perché in un colloquio di lavoro ti fanno solo domande mortificanti

Come mi vedo tra cinque anni  "Come si vede tra cinque anni?" "Mi aspettavo questa domanda ed è per questo che mi sono portata la risposta. Ce l'ho proprio qui, nella valigetta da persona impegnata, insieme alle pallottole di carta che simulano del contenuto." Sfoggio la foto qui al lato, raffigurante una tartaruga d'acqua piuttosto figa che plana in un bel mare blu. "Ecco mi vedo proprio così." "Ah, le piace fare dell'ironia?!" fa l'intervistatore, in bilico tra la domanda e l'affermazione. "Sì, ma non posso, è contro l'etichetta dei colloqui. Proprio per questo mi sono sforzata di dare un riscontro sincero a un quesito preciso come il suo." "Quindi lei aspira a lavorare ai Tropici, è questo che vuole dirmi?" chiede il borghese che veste Armani con la stessa classe di un venditore di coccobello coccofresco in un costume da paggetto medievale. "No, solo che tra cinque anni alla fine di g

La Posta del C...aso

“Il miglior modo per completare qualcosa è iniziare.” Anonimo Risposta da Rivista Inesistente messaggio inconsistente rinvenuto in un cassetto Gentile Anonimo, non posso che risponderLe completando il Suo illuminato pensiero: Il miglior modo per completare qualcosa, è iniziare...dalla fine. Pensaci, caro Anonimo (posso darti del tu?), secondo te è più difficile prendere e dedicarsi a un'azione qualsiasi o portarla a termine? Come mai capita anche al lettore più accanito di iniziare la otto libri in un mese e non finirne manco uno? Quante persone decidono di prendersi cura di un animale e poi lo abbandonano? Scusami, questo esempio fa troppo male al cuore, modifichiamolo: quante persone decidono di tenere pulita la macchina e poi non la lavano che una volta l'anno?  Fammi un fischio bello forte, Anonimo (posso chiamarti con un diminutivo?...No, non posso) se pensi che il vero problema delle persone sia iniziare una cosa, una qualsiasi come ad esempio: fare la prima

Il collezionista

Ieri è venuto a trovarmi Martino. La prima cosa che ho pensato è che non lo vedevo da tanto, almeno due giorni, così gli ho detto: "Come sei cresciuto sembra ieri che eri uguale ma più basso!". Martino è quello che si può considerare un vero amico, nel senso più classico del sostantivo: un buono a nulla tutto cuore e poco cervello che, generoso nell'elargire consigli terribili e mai richiesti, si sente autorizzato a fare come a casa sua anche quando gli dici di starsene fermo nell’ingresso due minuti perché vorresti far uscire dalla finestra sua moglie che ti fai di nascosto. Martino, per completare il quadro, ti dice che i capelli ti stavano bene lunghi solo quando ormai li hai tagliati a zero (salvo averti esortato a lanciarti in un cambiamento radicale, la sera prima, dopo l’ottava pinta). Si sa, gli amici capitano, come tutto, in genere. Pensi di aver scelto una camicia, ma in realtà te la sei solo trovata davanti nel momento in cui eri propenso all’acquisto. Così s

"Turista (a caso) per dieci minuti" O "Ghiaccio 82"

Oggi è arrivato il momento di fare mio uno di quegli esperimenti sociologici che in quanto tali sono validi se considerati come generatori di aria fritta* (NB: se ti metti a leggere le note, o meglio la nota, giacchè di una sola si tratta,  non leggi il resto, pensaci dopo). Devo premettere che mi irritano i turisti, anche tu, quando fai il turista, sappilo che mi irriti. Purtroppo il turismo non è solo una scelta di villeggiatura irresponsabile, omologata e nociva per le destinazioni di tutto il mondo, ma anche una malattia a diffusione endemica. Ciò implica che, presto o tardi, spesso o di rado, tutti siamo turisti, proprio come alle volte tutti, o quasi, siamo raffreddati, infetti, assetati o molesti. Capita a chiunque e non c’è da prenderla alla leggera, perché quando ti coglie un attacco di turismo, volontario o forzato dai familiari, diventi a buon diritto parte della comunità più insopportabile del mondo. Bene, ora che ho espresso con toni moderati la mia lieve intolleranza, pos

Tartacronaca in corsa

SPACCIATORE DI CORSA Quando dicono che è una droga intendono dire che dà dipendenza. Evito di specificare che sto parlando della corsa, non vorrei passare per una persona monotematica: spesso parlo anche di quando collezionavo bustine di zucchero o dell'elefante di cartone che provai a costruire con le istruzioni di Famiglia Cristiana, ottenendo un coniglio su una mongolfiera, secondo il parere unanime dell'ospizio do ve dimorava la vicina e tutti i suoi amici, una bella banda che per qualche motivo costituiva il mio intero parco amicizie (mi sono poi resa conto che avrei perso tutti i miei compagni di giochi prima dei miei quindici anni. Per fortuna mi sbagliavo: la signora Tramontana è morta alla rispettabile età di 106 anni, quando ne avevo già 19). Se corressero davvero, saprebbero che non solo dà assuefazione ed euforia, perché anche questo lo considerano, va detto, ma anche produce bellissime allucinazioni, rarefà i pensieri, rende nitide le sensazioni, at

Tartacronaca di un amore finito

Erano passate da poco le cinque ma era già giorno, essendo ancora autunno, e il chiarore si spandeva sulla condensa notturna colata sopra le stradine del centro di Siena, dove camminavo di buon passo, di buon passo lo aggiungo per lasciare ai lettori il tempo di sospirare al nome della cittadina toscana, mentre questo altro inciso serve a dare qualche secondo di fiato preparatorio in vista del gra nde sospiro che seguirà la menzione di Piazza del Campo, accidenti me la sono bruciata prima di arrivarci. Attraversai piazza del Campo (fate quello che dovete) e pensai che dopotutto alla Torre del Mangia, si chiama così, preferisco quella di Palazzo Vecchio a Firenze, anche se "l'è più bassa", ma entrambe non posso fare a meno di guardarle e lunghe sono le teorie su questo interesse inevitabile per l'occhio, purtroppo inopportune da citare in questa sede. Uno sbadiglio mi fece considerare che forse avrei potuto aspettare mezzogiorno a lasciarlo, non c'era

COME DISEGNARE UN CERCHIO COL COMPASSO

Vorrei saper disegnare. Vorrei saper disegnare qualcosa di più di un cerchio col compasso. Non nel senso che vorrei imparare a disegnarci i quadrati e nemmeno le peonie o la caricatura di Dante, con il compasso. Anzi, per essere precisi non vorrei imparare, vorrei proprio saper disegnare, punto. Anzi, non punto: saper disegnare….qualcosa di più di un cerchio con il compasso. Sia chiaro, non che io aspiri a disegnare dei tondi felici mentre scorrazzano con i loro compassi al guinzaglio, anche se in questo ci vedo un parallelo con il nostro ammaestrare la natura che ci ha creato, o dio. Oddio, ma di che parlo. Vorrei essere capace di disegnare, ma non un cerchio perfetto, da volteggio di compasso. E nemmeno vorrei essere capace di disegnare un cerchio perfetto senza compasso, perché allora mi direbbero: "di cognome fai Giotto!". Se mi chiamassi Giotto di cognome, però, il mio nome sarebbe "Uhm", che è come di solito chiamiamo Giotto, se interpellati sul suo nome d

Se a Capodanno pensi ai telefoni fissi o hai bevuto troppo o troppo poco

Mi mancano i telefoni fissi. La linea telefonica a casa, voglio dire. Prima ci facevo meno caso, l'ho presa come delle conseguenze della modalità di vita universitaria: lasci la famiglia per riparare altrove, nella città più vicina o più lontana possibile a seconda della tua smania di indipendenza e della simpatia della fauna locale, dove ti accomodi in un ambiente regolato dall' anarchia . L'ingresso in casa di uno sconosciuto alle tre del mattino, tanto per fare un esempio, rientra nella norma, mentre vedere un ladro sì che sarebbe strano: finireste col farvi una briscola, ché tanto in casa di studenti non c'è niente da rubare. In breve tempo, diventi uno di quelli che i programmi televisivi li segue una volta al mese, quando va appositamente a trovare i genitori. Ti abitui, inoltre, a farti durare le lenzuola fino a che non vai a guardare la tele dai tuoi, così, dici, la mamma ha abbastanza panni per un bucato consistente. Passa un intervallo di tempo compreso tra i